Jean Borella (1930), filosofo e metafisico francese
Estratto dall’Introduzione a Jean Borella, la Révolution métaphysique, pubblicato nel 2006.
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
Questa introduzione intende fornire una panoramica dell’asse generico del pensiero filosofico di Jean Borella e presentare un panorama della sua opera.
- Introduzione
- Un approccio filosofico “scosso” dall’Incarnazione
- Un punto di partenza simbolico
- La costruzione di un’ontologia borelliana come realismo simbolico
-
Genesi e via crucis del simbolismo sacro: metafisica del simbolo
- Letteralismo e demitizzazione razionalista: fideismi ingenui o dotti
- Lo storicismo religioso abbattuto dalla rivoluzione della fisica
- Il materialismo e l’alternativa realismo-idealismo soppiantati da un’ontologia dell’essenza e della sua esistenza corporea
- Il simbolo fa da transizione tra l’ordine della natura e l’ordine della cultura
- Il discorso religioso dà origine alla speranza filosofica
- Dalla spiegazione razionale impossibile alla conversione
- Un’opera anagogica basata sulla dialettica mythos-logos
- Una presentazione dell’opera in cinque tappe
- Note
Introduzione
Questa presentazione dell’opera di Jean Borella sembra autorizzata dal fatto che, in un “piccolo” libro intitolato Symbolisme et Réalité, histoire d’une réflexion (“Simbolismo e realtà, storia di una riflessione“, 1997, 69 pagine), egli stesso ha ritenuto utile “ripercorrere la genesi della [sua] riflessione sul simbolismo sacro, […] per renderla più intelligibile, mostrando con precisione a quali domande questa riflessione ha cercato di rispondere”1.
Soprattutto perché, pur essendo a tutt’oggi incompiuta, è davvero un’opera, conditio sine qua non per un simile esercizio. Quest’opera è tanto una dottrina del realismo simbolico (è il simbolo che fa conoscere il reale), che offre finalmente una risposta a tre secoli di razionalismo e al riduzionismo del criticismo kantiano, del marxismo, del freudismo e dello strutturalismo, quanto una metafisica del simbolo, che dovrebbe confutare una volta per tutte la critica heideggeriana della metafisica occidentale2 e che, come i “petits gris”3, suona Le Retour de la Métaphysique (“Il Ritorno della Metafisica”).
È su questi due punti, dando una visione d’insieme del suo approccio generico e presentando un panorama dell’opera di Jean Borella, che vorremmo concentrare questa introduzione.
Un approccio filosofico “scosso” dall’Incarnazione
Questo approccio è quello di un filosofo 4, perché è necessariamente il logos che si ordina al mythos che lo fonda, e non viceversa5, cioè di un uomo qualsiasi che, per sé e per gli altri, nella “situazione culturale del suo tempo, in cui peraltro si riassume e riassume la situazione dei tempi precedenti” mira “a scoprire la verità nella sua essenza atemporale”6.
Ma se Platone e Aristotele, in quanto fondatori, rimangono le fonti di tutta la filosofia, dobbiamo anche tener conto di questo nuovo grande sviluppo nella storia del pensiero, sconosciuto nell’Antichità: l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Questo evento, assoluto e senza equivalenti per la filosofia – ma non filosofico in sé – ha di fatto, che ci si creda o meno, relativizzato la filosofia. Inoltre, questo emergere storico del Verbo incarnato, al di là dell’orizzonte intellettuale della mentalità umana, proprio in quanto extra-filosofico, ha determinato la filosofia, situandola e istituendola nel suo ordine proprio, in mancanza del quale corre sempre il rischio di “perdersi nell’indeterminatezza del proprio discorso (sofistico o hegeliano)”7.
Perché questa irruzione non è un “fuori” non filosofico, ma il Logos stesso. Da qui scaturiscono tutte le tesi o filosofie che hanno riempito il pensiero cristiano e guidato tutta la filosofia, come l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima e la creazione del mondo. In particolare, la dottrina cristiana della creatio ex nihilo (Dio crea l’essere stesso della creatura), “esplicitando la dipendenza ontologicamente radicale della creatura dal puro Atto divino dell’essere”, svolgerà “un ruolo considerevole nella questione dell’analogia in generale e dell’analogia dell’essere”.8
“È per questo che la filosofia cristiana, e in particolare la filosofia di San Tommaso d’Aquino, può per certi aspetti andare oltre le filosofie di Platone e di Aristotele, non per quanto riguarda l’ampiezza della visione metafisica (di cui Platone ha fornito una volta per tutte l’icona speculativa), né per quanto riguarda il rigore del linguaggio concettuale (che Aristotele ha stabilito una volta per tutte nella sua scientificità) […], ma solo nella misura in cui è espressamente ordinata al fatto dell’incarnazione della Sapienza eterna in Gesù Cristo. “9
Un punto di partenza simbolico
Lo stesso Jean Borella racconta (in Symbolisme et Réalité) che la sua riflessione è iniziata nel 1950 con le reazioni dei giovani cristiani che lo circondavano alla proclamazione del dogma dell’Assunzione da parte di Pio XII, in cui si è affermato che “Maria, terminato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in anima e corpo alla gloria celeste”. “Deve trattarsi di un semplice simbolo” è stato il tipo di riflessione che ha innescato “l’evidenza di una risposta: al di là delle divisioni e delle opposizioni della ragione analitica stava la verità della realtà, una in sé, inseparabilmente storica e simbolica, visibile e invisibile, fisica e semantica”10.
Questa scoperta, questa intuizione, è che il reale e il simbolico non si escludono a vicenda, che la materia dei corpi ha una natura ontologicamente spirituale senza mettere in dubbio la realtà della loro corporeità, che la percezione rivela solo una modalità del reale (la corporeità) che ne ha altre, e che l’Assunzione di Maria non è né esclusivamente storica né esclusivamente simbolica11.
Al contrario, la convinzione della reciproca esclusione del reale e del simbolico può portare un Bultmann a sostenere “che i fatti sacri e i miracoli sono fisicamente impossibili e teologicamente falsi”, tanto che dobbiamo, “per salvare la nostra fede, interpretarli come mere figure del discorso religioso”! Ma così facendo, il pensiero bultmano-modernista non si rende conto del paradigma che lo guida: la concezione della materia e della realtà fisica che deriva dal materialismo scientifico, un’ideologia già superata un secolo fa (Relatività, fisica quantistica)12.
D’altra parte, avendo escluso il materialismo, il realismo classico e l’idealismo, tutti e tre incapaci di dire quale sia la realtà della realtà fisica, possiamo prendere coscienza del “modo di presenza” che le cose sono e allo stesso tempo, essendo la loro essenza solo nell’ordine dell’essenza – cioè in Dio -, della loro assenza. “Così, tutti gli esseri, tutte le realtà sono allo stesso tempo profezia (o rivelazione) archetipica (in quanto realizzano un modo di presenza) e reminiscenza (o memoriale) archetipica (in quanto ogni modo implica una certa assenza di ciò che modalizza); è per questo che ogni essere creato annuncia l’archetipo di cui è la manifestazione e ci chiama, attraverso la reminiscenza che risveglia in noi, a tornare ad esso”13
Sembra quindi altamente simbolico che sia stata la proclamazione del dogma dell’Assunzione all’origine di questo viaggio, poiché “in Maria che sale al cielo nella sua gloriosa Assunzione”, contempliamo “l’esistenza ‘divenuta una sola carne’ con la sua essenza”, contempliamo “la natura umana incoronata con il suo archetipo eterno”14.
La costruzione di un’ontologia borelliana come realismo simbolico
Rendendo presente la realtà che significano e rivelando al contempo la loro assenza, gli esseri della creazione sono così identificati con i simboli, e realtà simbolica e realtà fisica non sono più contrapposte. Il simbolo non è più un segno arbitrario (poiché si identifica con la realtà che simboleggia) e la realtà fisica non è più un puro “esser-ci”, un impenetrabile in-sé, poiché è costituita nella sua sussistenza – subsistentia15 – da un’essenza, una “forma semantica”.
Il simbolo diventa così il luogo della conversione dalla natura alla cultura (gli elementi fisici sono inseriti in un processo di significazione) e dalla cultura alla natura (l’opera dello spirito si riveste di forme visibili).
Affermando la dimensione ontologicamente simbolica di ogni creatura, questa ontologia si giustifica per essere definita realismo simbolico: “è l’idea di simbolo che ci permette di pensare l’idea di realtà” 16.
Questa ontologia può essere certamente definita borelliana (poiché Jean Borella è responsabile della sua attuale particolare formulazione), o addirittura platonica (poiché è l’ispirazione attestata17 o “la verità inconfutabile del platonismo” che viene riscoperta18 o la “lezione di Platone” a patto che si liberi del platonismo19 o “l’axe central de sa perspective doctrinale”20, ecc.), ma non è piuttosto l’unica ontologia degna di questo nome, l’unica possibile? Mostrare che gli esseri sono simboli, che l’essere è analogico, che l’ontologia stessa è quindi fondamentalmente analogica21; mostrare che il suo fondamento metafisico si trova quindi al di là dell’essere, in una meontologia (meta-ontologia) della Relazione (la Relazione di Dio con il suo Essere, prima di tutto), che l’Alterità è l’Analogo inverso dell’Identità e l’analogo diretto dell’Affermazione dell’Identità, che l’Identità suprema, al di là delle essenze, al di là dell’Essere e del Non-Essere, è pura Analogia22; non è questa una rottura definitiva con tutti i sistemi di separazione? Non significa forse riscoprire, in questa semanticità dell’essere, “l’unità dell’essere e del conoscere, l’ontonesi in cui l’essere e il conoscere sono indissociabilmente unificati”?23
Genesi e via crucis del simbolismo sacro: metafisica del simbolo
Il pensiero ontologico dell’essere-simbolo nasce quindi da un approccio filosofico aperto al mondo intero (alla sua naturalità e soprannaturalità), rifiutando così tutti i riduzionismi rappresentati dalle varie concezioni del mondo che si basano su una reciproca esclusione del reale e del simbolico.
Ma un’intuizione metafisica può essere raggiunta, resta al lavoro filosofico elaborarla e al filosofo condividerla. È la storia di questa elaborazione e del suo confronto con i paradigmi e la mentalità dell’intellighenzia occidentale che vorremmo qui riassumere e caratterizzare24.
Letteralismo e demitizzazione razionalista: fideismi ingenui o dotti
Nata dalla proclamazione di un dogma, l’intuizione dell’essere-simbolo ci ha portato a respingere due insidie:
- letteralismo, che, nel tentativo di salvare la verità della rivelazione, nega ogni simbolismo. Il suo rapporto con la fede caratterizza il fideista ingenuo e la sua adesione esclusiva alla lettera del testo;
- demitizzazione, che, esiliando il religioso dalla storia e dall’esistenza umana, trasforma i simboli religiosi in un “modo di parlare”. Il suo rapporto con la fede è caratteristico del fideista razionalista e del suo rifiuto della lettera del testo sacro per la sua natura inconsciamente mitica. Questa fede, svuotata di ogni contenuto, si riduce alla sua stessa affermazione.
Per questi due fideismi, il reale si identifica con l’ordine materiale e il simbolico è il suo sostituto fittizio. Mentre il fideista ingenuo invoca il miracolo per eventi contrari alle leggi fisiche, il fideista colto (o bultmanniano) pensa di poter salvare la fede rifiutando, “come mere figure del discorso religioso”, i fatti sacri e i miracoli (in quanto “fisicamente impossibili e teologicamente falsi” – sic).25
Lo storicismo religioso abbattuto dalla rivoluzione della fisica
Paradossalmente, proprio quando questo fideismo erudito è diventato il “tornado bultmano-modernista”, il suo paradigma, l’idea della sostanza del mondo derivata dal materialismo scientifico, è stato spazzato via dalla rivoluzione della fisica (Relatività e fisica quantistica), che ha messo in discussione il concetto di materia e quello di realtà fisica.
Purtroppo, questo primo tornado, sebbene infondato dal secondo, minacciava comunque di “spazzare via tutto dalla fede cattolica”, proprio perché “l’edificio del pensiero cristiano” era costruito troppo sul “principio della reciproca esclusione del reale e del simbolico” e perché “dal XVI sec, e soprattutto dalla fine del XVII secolo in poi, l’esegesi cattolica (o protestante) più ufficiale, ripudiando il significato spirituale della Scrittura – a differenza della patristica e del Medioevo – si era dedicata esclusivamente a dimostrare la storicità di ciò che, nella parola divina, poteva essere ragionevolmente strappato al mitico.”26 Rimane quindi il paradosso, emblematico per Bultmann, del rifiuto della “mitologia del Nuovo Testamento” in nome di una concezione della scienza che non è essa stessa altro che un mito”27.
Il materialismo e l’alternativa realismo-idealismo soppiantati da un’ontologia dell’essenza e della sua esistenza corporea
Se il materialismo non è in grado di dire quale sia la realtà della realtà fisica (poiché, nel migliore dei casi, osserva una cosiddetta realtà fisica e decide che non c’è nulla da cercare al di là di questa osservazione), l’alternativa realismo-idealismo ha senso solo se non esiste una realtà diversa dalla materia, se non ci sono modalità di realtà diverse da quella materiale.
Ma l'”essenza, come unità intelligibile, transpaziale e transtemporale” – l’essenza-leone o l’essenza-quercia, per esempio – non è forse una realtà ancora più reale dell’esempio corporeo – tale leone, tale quercia – che sopravvive?
Da qui questa presenza delle cose corporee (immanenza del loro archetipo) e, allo stesso tempo, la loro relativa assenza (trascendenza della loro essenza) 28
Il simbolo fa da transizione tra l’ordine della natura e l’ordine della cultura
Identificare la creatura e il simbolo significa passare dall’ordine della natura all’ordine della cultura, in direzione opposta a quella che consisteva nel partire dal fatto sacro, studiare la sua negazione razionalista per scoprire l’ontologia materialista su cui si basava, e poi rendersi conto che questa ideologia scientista era superata.
Il simbolo diventa così il punto di passaggio sia dalla natura alla cultura: significato degli elementi fisici (forme, colori, ecc.) e “corrispondenza analogica tra la natura fisica dell’elemento simboleggiante e la natura metafisica della realtà simboleggiata”; sia dalla cultura alla natura: l’opera della mente, il “segno, assume forme visibili, si fa carne e diventa cosa (misteriosa) tra le cose”.
Il simbolo è la chiave dell’ontologia(Ibid., pp. 29-33).
Il discorso religioso dà origine alla speranza filosofica
Il simbolo è certamente la chiave dell’ontologia, ma deve ancora farsi conoscere come simbolo. Deve essere riconosciuto come un’entità particolare, che non è né una semplice cosa (sommersa da altre cose), né un semplice concetto (perso nell’universo mentale della psiche). Per fare questo, non deve riferirsi a nulla che sia direttamente conoscibile secondo l’esperienza comune (le indicazioni sul cartello stradale o nel linguaggio comune), ed è “solo il discorso religioso dove il simbolo puro può essere ‘scoperto'”.
Infatti, quando il testo annuncia che “il Verbo è nel Principio”, o ci parla dell'”albero della conoscenza del bene e del male”, non ci si riferisce a qualcosa che possiamo vedere o immaginare. “L’unico luogo […] è il segno stesso” e tale segno, “che non si riferisce a nulla di cosmico, è un puro simbolo, […] un’entità residuale irriducibile a qualsiasi cosa del mondo”. Sperimentarlo significa accedere “alla consapevolezza che ‘c’è un simbolismo’, e quindi poter accedere all’intelligibilità dell’essere”. “Il sapere della fede […] consiste nell’aderire al simbolo, cioè nel ‘sapere nel simbolo'”.
Il discorso religioso offre quindi al discorso filosofico “il modello su cui pensare l’atto del conoscere”. Poiché conoscere è conoscere ciò che è, e i nostri sensi ci presentano solo realtà mutevoli, “dobbiamo imparare a cogliere l’identità dell’essere nell’alterità del divenire, a percepire l’essenza nell’esistenza” come ciò che “le dà la sua sussistenza (subsistentia)”.
Conoscere “le essenze attraverso l’esperienza dei simboli e ‘risalire’ all’interno del sensibile fino all’intelligibile che lo fonda” non è tutto. Siamo anche portati “a scoprire il sensibile nell’intelligibile […], l’esistenza finalmente riconciliata e reintegrata nella sua essenza”. Questo “rovesciamento è richiesto dalla conoscenza metafisica” e “ciò che il filosofo vuole […], una conoscenza totale e perfetta […], il compimento finalmente della promessa inscritta nella sostanza stessa della sua intelligenza”, è unirsi a ciò che conosce.
“Non basta conoscere ciò che è, bisogna anche essere ciò che si conosce. Ma come possiamo conoscere ciò che è se è assente dalle realtà corporee di cui siamo, senza astrarci attraverso l’estasi o la morte? Se il corporeo – limitato, contingente, storico – rimane inintelligibile, tutta la filosofia è vana, e con essa l’intelligenza umana. Ma se la natura dell’intelligenza risiede nel suo “istinto per il Reale”, nella sua speranza dell’Essere totale, allora la perfezione della conoscenza è proprio questa unità del conoscere e del conosciuto (il loro atto comune, dice Aristotele), e quindi del conoscere come tale e del conosciuto come tale.
È questa metafisica dell’essere simbolico – che si scopre grazie al discorso religioso – che permette al logos filosofico (il pensiero, il discorso) di non essere un discorso completamente scollegato dalla realtà o fluttuante al di sopra di essa, affidandosi unicamente alla propria coerenza interna per osare sperare di rifletterla più o meno; in termini positivi, questa metafisica dell’essere simbolico permette, al contrario, che si accordino “intelligenza e fede, filosofia e religione, ragione e rivelazione”.
La “critica della ragione simbolica” e la destituzione della ragione
Una tale verità metafisica non è facile da condividere. Come sottolinea Henri Gouhier, se si vuole distinguere tra filosofie della verità e filosofie della realtà, le prime cercheranno le cause per dimostrare la verità, le seconde la fonte per mostrare la realtà: “la fonte è per la realtà ciò che la causa è per la verità”29.
Poiché è impossibile dimostrare questa metafisica – “spiegare razionalmente un certo simbolismo equivarrebbe a ridurre il mythos al logos” e quindi ad annientarlo – resta “da stabilire la sua legittimità agli occhi della ragione critica”.
Il primo passo è gettare solide fondamenta: definire correttamente il simbolo, rifiutando le tesi invasive dello strutturalismo; questo è ciò che fa il Mistero del Segno, al termine di una “elaborazione tecnica” e secondo una “messa a punto filosofica”.
Diventa allora possibile “portare la ragione moderna ad accettare la necessità di questa metafisica”, mostrandole i vicoli ciechi a cui conduce il rifiuto del simbolismo sacro; è quanto fa La crise du symbolisme religieux. Il ragionamento è il seguente:
- “Negare che le forme sacre siano messaggi del Trascendente significa necessariamente renderle mere produzioni inconsce della coscienza umana”;
- Qualunque sia la genesi di questo processo di alienazione, esso costituisce “una tesi rigorosamente contraddittoria”: infatti, come potrebbe questa alienazione della coscienza presumibilmente universale (“il principio nascosto della sua genesi risiede nella situazione strutturale di questa coscienza”) sfuggire “miracolosamente” alla coscienza di chi formula questa tesi – permettendole di avere un senso?
- L’illusione del sacro non è quindi più strutturale o universale, poiché è soggetta a eccezioni;
- La cosiddetta “ineluttabile alienazione della religione” non è quindi spiegata da una ragione strutturale e universale;
- D’altra parte, è stata rivelata la pretesa ingiustificabile dei “rivelatori della coscienza alienata” di sfuggire a questa alienazione universale;
- E, oltre alla contraddizione della sua tesi, abbiamo anche rivelato quella del profeta impossibile la cui “rivelazione consiste proprio nel dichiarare che ogni rivelazione è un’illusione, come un uomo che proclama: ‘la parola non esiste'”30.
Dalla spiegazione razionale impossibile alla conversione
Se la spiegazione razionale dei simboli è impossibile, è perché, “più radicalmente, non è la realtà (comune) che interpreta il simbolo, ma il simbolo che ci costringe a interpretare questa realtà, a vederla in un modo diverso da quello riduttivo in cui ci appare, e ad andare oltre”.
Poiché, dunque, “l’esistenza dei simboli sacri è resistente a qualsiasi spiegazione razionale, quale può essere l’atteggiamento dell’intelligenza filosofica nei confronti di questi mostri la cui inquietante estraneità si fa più chiara man mano che la ragione li espelle da sé e se ne purifica? Non mi viene in mente altro modo che quello di convertirsi al simbolo.
E convertirsi al simbolo è accettare di seguirlo nella sua interrogazione della realtà, “è accettare di entrare con lui nella conversione metafisica della realtà”, è “aprirsi alla trasfigurazione della carne del mondo di cui è testimone profetico e iniziatore salvifico”.
“In questa conversione si risolve il conflitto tra ragione e fede, tra l’universalità del logos e la contingenza delle culture religiose: qui il senso si unisce all’essere, l’intelligenza informale si unisce alle forme sacre, muore in esse e risorge trasfigurandole. All’impossibile suicidio speculativo di una ragione illusoriamente demistificata risponde il sacrificio di un intelletto che trova il suo compimento solo nella mediazione crocifiggente del simbolo, come ci insegna, a titolo esemplificativo, il mistero della notte di Pasqua”31.
Un’opera anagogica basata sulla dialettica mythos-logos
Riassunta ne La crise du symbolisme religieux, la dialettica mythos-logos (dialettica che ha il compito di condurre l’intelletto alla contemplazione divinizzante32 è essa stessa, sotto la grazia dello Spirito, la forza anagogica (l’atto anagogico è, letteralmente, “l’ascesa verso l’alto”) dell’intera opera di Jean Borella.
- Il libro mette in luce la contraddizione inavvertita e costitutiva delle tesi moderne (“moderniste”), da Spinoza, Hegel, Feuerbach, Marx, Freud, Lévi-Strauss, a Foucault, Derrida… che, in tre modi ben distinti, sradicando il mythos (il simbolico), negano direttamente il logos (l’intelligenza che parla dentro di noi); questo fa sì che “si stabilisca, per absurdum, la congiunzione essenziale di logos e mythos“33, prima che il logos possa essere convertito in mythos.
- Senza essere troppo schematici, possiamo vedere che, intorno alla “cesura” costituita dalla “guida esplicativa” Simbolismo e Realtà, si alternano i testi che privilegiano il mythos e quelli che si concentrano maggiormente sul logos.
Nei primi, il mythos, in quanto mistero cristiano, è confrontato a sua volta con la sua dottrina (La Charité profanée), con i tre tipi di eresia che lo minacciano (Le sens du surnaturel), con l’esoterismo (Esoterismo guénoniano e il mistero cristiano34) e con le grandi modalità della teologia (Lumières de la théologie mystique).
In quest’ultima, di natura più specificamente filosofica, il logos si immerge a sua volta nell’intelligenza del simbolo (Le mystère du signe) e poi in quella dell’analogia (Penser l’analogie), perché “il simbolo decifrato si trasforma nell’analogia che lo ha costituito”35 e, tra i due, si confronta con le filosofie moderne fino a quando, come indicato, il logos si converte in mythos, l’intelligenza in simbolo (La crise du symbolisme religieux).
Che il punto di partenza sia il mythos o il logos, la dialettica mythos-logos è ovviamente al centro di ognuna di queste opere, dove il logos è sistematicamente invitato a convertirsi al mythos. Questo è vero ne La Charité profanée – il libro più incentrato sul mistero cristiano – dove l’intelligenza si converte al simbolo cristiano; è vero anche in Penser l’analogie – senza dubbio il libro più filosofico – dove leggiamo che per entrare nella superconoscenza, l'”epignosis” paolina, bisogna “aver rinunciato a ogni conoscenza, anche alla conoscenza stessa delle Idee”36. Ciò significa che “l’intelletto metafisico deve impegnarsi concretamente nella fede nel Dio rivelato: senza rivelazione, non c’è alcun Oggetto divino”; “e senza un Oggetto divino […], non è possibile alcuna liberazione, poiché ogni pellegrinaggio verso una luce assente è proibito. L’intelletto deve compiere una sorta di sacrificium intellectus, deve seppellirsi nella fede come nella morte di Cristo Logos, ma è per rinascere con lui” 37.
Va anche notato che era fondamentale che il primo libro si concentrasse sulla dottrina cristiana (più in particolare sulla teologia trinitaria). Come si può cominciare a dire prima di sapere, a spiegare prima di aver capito? L’ordine stesso dei quattro confronti del mistero cristiano: dottrina (La Charité profanée), eresie (Le sens du supernaturel), esoterismo (Esoterismo guénoniano e il mistero cristiano) e teologia mistica (Lumières de la théologie mystique) non è neutro; riflette i tre momenti dell’ascesa “teologico-mistica”:
- teologia affermativa (ciò che la dottrina è),
- teologia negativa (ciò che non è: eresie, esoterismo)
- e la teologia mistica (modalità non modale di comunione con il mistero).
È quindi solo un caso che queste due opere, che mostrano ciò che il cristianesimo non è, siano state pubblicate così vicine (1986 e 1990). La prima (Le sens du surnaturel) libera la sua essenza dalle eresie che l’assalgono (come attacchi “dall’esterno”), mentre la seconda (Esoterismo guénoniano e il mistero cristiano) ne protegge l’esistenza dalle aberrazioni che la minacciano (attacchi “dall’interno”).
Per concludere sul continuum infallibile dell’opera, ricordiamo che la prima opera, La Charité profanée (“La carità profanata”) – nata di fronte all’ampiezza della Riforma post-conciliare e alla deviazione della carità nell’attivismo mondano38, per scoprire il segreto della Carità alla luce della teologia trinitaria39 – Questa prima opera, poi, preannunciava già (dalla sua edizione del 1979) la preparazione dei “Fondements métaphysiques du Symbolisme sacré“40, che, di fatto, avrebbero dato vita a una prima opera dal titolo : Le mystère du signe, dieci anni dopo, nel 1989, cui seguirà l’opera complementare: La crise du symbolisme religieux, l’anno successivo, in attesa della pubblicazione, ormai abbandonata, di una “Métaphysique du symbole” completa e ricapitolativa41.
Una tale dottrina, per avere successo, avrà quindi seguito “l’intero percorso”:
- Avrà avuto la sua fonte nel Mysterium caritatis: “pneumatizzazione dell’intelletto”, “fermento alchemico della nostra deificazione”42 e “sostanza a tutti i gradi della sua realtà” che giustifica la dualità degli esseri43 (La Charité profanée).
- Sarà radicata nella storia, nell’analisi e nel mistero del simbolo, dove quest’ultimo si rivelerà un “operatore semantico”: produttore di senso, trasformatore dell’ontologia in semantica, fertilizzante dell’intelligenza e “consumatore” della “sostanza del mondo per riportarla al suo Principio”44 (Le mystère du signe rééd. Histoire et théorie du symbole).
- Avrà affrontato tre secoli di razionalismo, scoprendo che “il principio semantico” ci condanna alla strada di una metafisica del simbolismo, settore primario del sapere speculativo, “legittimato a rivendicare il posto centrale nel pensiero filosofico”45.
- Si sarà liberata dalle tre nature dell’eresia che la minacciano per riscoprire il senso del sacro e della Scrittura come simbolo, nonché per “impegnarsi a volere la propria finitudine ontologica”, compiendo la Volontà del Padre46.
- Si sarà anche liberato dall’esoterismo – in parte pacchiano – e, in particolare, avrà “restaurato” il valore iniziatico dei sacramenti di fronte alla “demiurgia iniziatica” guenoniana47 (Esoterismo guenoniano e mistero cristiano).
- Si sarà ulteriormente affinata nello studio dell’analogia, quell'”anima” del simbolo, e, risalendo la dialettica platonica, ci avrà condotto al mistero dell’Analogia suprema, dove si cela il mistero della creazione del mondo: il mondo sensibile che, attraverso tutto il non-essere con cui è mescolato, testimonia il carattere ancora illusorio del mondo intelligibile di cui è il diretto riflesso 48.
- Infine, purificata alla luce della teologia mistica, ci avrà condotto, per la virtù anagogica dei simboli, alla “Pasqua dell’intelletto teologico”: “morte ai concetti affermativi” e resurrezione dell’intelletto che ha acconsentito al proprio annullamento [“l’intelligenza che chiude gli occhi”, in Dionigi]: gnosi attraverso la nescienza49.
Una presentazione dell’opera in cinque tappe
Il centro dell’opera è indiscutibilmente questa mistica o metafisica dei misteri cristiani (cfr. La charité profanée, Penser l’analogie, Le sens du surnaturel, Lumières de la théologie mystique…), cioè ci offre la possibilità, se lo Spirito soffia in quel momento, di una comprensione del mistero, dove l’atto intellettivo è abolito nel suo essere intuitivo e l’intelletto diventa una cosa sola con l’intelligibile, superando ogni operazione noetica (ordine della conoscenza che implica quindi una certa speculatività).50
Ci proponiamo quindi di muoverci verso questo centro in quattro tappe (le prime quattro parti), ognuna delle quali costituisce per noi un passaggio importante del pensiero borelliano:
Un pensiero sulla storia del pensiero.
Questa prima parte è l’occasione, in quattro capitoli di dimensioni diseguali, per presentare come affreschi – significativi e sintetici – sia momenti della storia, sia storie di momenti particolari, come Jean Borella sa dipingerle:
- la rottura sofistica post-parmenidea e l’alternativa “complementare” tra Platone e Aristotele (cfr. Penser l’analogie, La crise du symbolisme religieux),
- una storia dei quattro regimi della ragione (cfr. Lumière de la théologie mystique)
- l’assassinio in tre fasi del simbolismo da parte del razionalismo critico degli ultimi tre secoli (cfr. La crisi del simbolismo religioso),
- e l’avvento di un certo cristianesimo ideologico attraverso i tre possibili tipi di eresia (cfr. Il significato del soprannaturale).
L’opera non poteva non collocarsi in relazione a quelle che potremmo definire le grandi correnti di pensiero della storia del pensiero, e in particolare fare riferimento alla duplice fonte di tutta la filosofia: Aristotele, per l’organizzazione del discorso e la sua scientificità, e soprattutto Platone, per la fondazione metafisica del contenuto del discorso.
Le posizioni relative di filosofia e scienza, esoterismo, ontologia, teologia, mistica e metafisica in relazione alla gnosi.
Questa seconda parte ci permetterà di situare con precisione ciò di cui stiamo parlando, una preoccupazione pedagogica molto apprezzata e sempre presente nell’opera di Jean Borella, filosofo e insegnante, anche quando si tratta solo di etimologia, lessicologia, filologia o delle definizioni immediate di termini tecnici essenziali (Le mystère du signe, Ésotérisme guénonien et mystère chrétien, Lumières de la théologie mystique, Penser l’analogie, La Charité profanée, oltre a una selezione di articoli sulla gnosi pubblicati da riviste come “La Pensée catholique” e Krisis).
La metafisica della relazione.
In questa terza parte, possiamo affrontare la teoria del segno simbolico (e la sua confutazione delle analisi e delle tesi dello strutturalismo), attraverso la quale vediamo il simbolo che “non solo ‘dà al pensiero'”51, ma dà anche il pensiero a se stesso”52 (cfr. Le mystère du signe, La crise du symbolisme religieux) allora l’analogia – “la chiave del simbolo” perché è diventata simbolo assumendo forme sensibili – apparirà “come il ‘luogo’ dell’unità e della distinzione dell’essenza e dell’esistenza, per un dato essere”53 (cfr. Penser l’analogie).
I sensi innati dell’uomo e la sua capacità metafisica.
Questa quarta parte presenterà i tre sensi, che potrebbero senza dubbio essere dimostrati come un tutt’uno e che lo sono, a seconda del contesto in cui vengono scoperti: il senso del soprannaturale, il senso del reale e il senso del significato.
- Il senso del soprannaturale permette all’uomo di sfuggire alla forzata condizione subumana degli “umanesimi totalitari” (cfr. Il senso del soprannaturale),
- Il senso del reale ci permette di sfuggire al confinamento sofistico del discorso vuoto (cfr. Penser l’analogie),
- Il senso del significato ci permette di assumere l’evidenza del Logos e di convertire la nostra intelligenza al simbolo (cfr. La crisi del simbolismo religioso).
Metafisica dei misteri cristiani.
La quinta parte intendeva inizialmente presentare solo alcuni elementi chiave di una metafisica dei misteri cristiani, così come sono presentati ne La Charité profanée (qui, capitolo 18, Metafisica del mistero cristiano). Tuttavia, ci è sembrato utile introdurre questa quintessenza del cristianesimo con i due passi essenziali a ritroso: in primo luogo, una riflessione sul problema dell’unità delle religioni (capitolo 16, Problématique de l’unité des religions; cfr. “Intelligence spirituelle et surnaturel“54 e “Problématique de l’unité des religions“55 e, in secondo luogo, la base dell'”accesso” metafisico all’al di là dell’essere (capitolo 17, L’Au-delà de l’être; cfr. Le mystère du signe, La crise du symbolisme religieux, Penser l’analogie).
Note
- Symbolisme et Réalité, p. 8.[↩]
- Per quanto riguarda la sua non-impossibilità, a dir poco.[↩]
- Fratelli della congregazione di Saint-Jean (Notre-Dame de Rimont), fondata da padre Marie-Dominique Philippe come eco di Jacques Maritain “la metafisica è più utile del carbone” e perché “se l’intelligenza non può dire nulla su Dio, la Rivelazione diventa poesia”. (cfr. Samuel Pruvot, in France Catholique n. 2875, 28 marzo 2003, dal titolo “Le retour de la métaphysique”[↩]
- Un filosofo cristiano, non un filosofo (cfr. Symbolisme et Réalité, p. 63).[↩]
- cfr. sezione 6[↩]
- Symbolisme et Réalité, p. 7.[↩]
- Penser l’analogie, pp. 15-16[↩]
- Ibidem, p.16.[↩]
- Ibidem, pp.17-18.[↩]
- Symbolisme et Réalité, pp.11-12[↩]
- Ibid., pp.12-13.[↩]
- Ibid., pp.14-15, 19-20.[↩]
- Ibid., pp. 23-27.[↩]
- Ibid., p.47.[↩]
- Jean Borella suggerisce di scrivere in francese “subsistence” (dal latino subsistentia) con una e, quando il termine designa il fatto di sussistere (permanenza nell’essere), per distinguerlo dai mezzi di “subsistance” dell’uomo (il cibo) e dalla gestione militare (cfr. Lumières de la théologie mystique, p.86, n.183[↩]
- Symbolisme et Réalité, pp.29-32[↩]
- La crise du symbolisme religieux, p.14[↩]
- Symbolisme et réalité, p.23[↩]
- Penser l’analogie, IVe partie, chapitre XII, section 1, p.162[↩]
- La Charité profanée, p.32, n.1.[↩]
- Penser l’analogie, p.127 .[↩]
- Ibid., pp.92 e 213.[↩]
- Lumières de la théologie mystique, p. 112.[↩]
- Per il periodo che va dal 1950 al 1997, data di pubblicazione di Simbolismo e realtà, siamo naturalmente molto aiutati da questa “guida esplicativa”, qui in qualche modo riassunta[↩]
- Symbolisme et réalité, pp.13-15.[↩]
- Ibid, pp.17-18.[↩]
- Ibid., p.20.[↩]
- Ibid., pp.23-26.[↩]
- Henri Gouhier, La philosophie et son histoire, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris, 2a edizione, 1948, “Philosophies de la réalité et philosophies de la vérité”, p. 30.[↩]
- Symbolisme et réalité, pp. 53-57.[↩]
- La crise du symbolisme religieux, p. 14.[↩]
- Penser l’analogie, p.140.[↩]
- La crise du symbolisme religieux, p. 14 [↩]
- Edizioni Arkeios, 2002[↩]
- Penser l’analogie, p.209.[↩]
- Penser l’analogie, p. 189.[↩]
- Ibid., n. 25, p. 189.[↩]
- Contro il “Chi vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (Jo, IV, 4-5); da qui il sottotitolo del libro: “sovversione dell’anima cristiana”[↩]
- La Charité profanée, p. 32.[↩]
- Ibid., p. 4.[↩]
- Composta da tre parti: ontologia, noetica e ritualismo, cfr. Le mystère du signe, n.4, p.87 e cfr. capitolo 11. “Le signe symbolique“, articolo 2. “L’eidétique du symbole“, § 4. “De l’essence du symbole“[↩]
- La charité profanée, p. 414.[↩]
- Ibid., p. 419.[↩]
- Le mystère du signe, p. 265.[↩]
- La crise du symbolisme religieux, pp. 332-333/”La crisi del simbolismo religioso”[↩]
- Le sens du surnaturel/”Il senso del soprannaturale”, p. 248[↩]
- Le sens du surnaturel, p. 248.[↩]
- Penser l’analogie, p.214/”Pensare l’analogia”[↩]
- Lumières de la théologie mystique, p. 108/”Illuminismo della teologia mistica”[↩]
- Ibid, p.112.[↩]
- “Il simbolo dà al pensiero” è l’espressione di Paul Ricœur; il simbolo fa molto di più (cfr. infra, capitolo 12).[↩]
- Symbolisme et réalité, p. 51.. .[↩]
- Penser l’analogie, p. 127.[↩]
- in Éric Vatré, La droite du Père, Enquête sur la Tradition catholique aujourd’hui, Trédaniel, 1994.[↩]
- Postface to : Bruno Bérard, Introduction à une métaphysique des mystères chrétiens, à la lumière de ses commentateurs anciens et modernes, en regard des Traditions bouddhique, hindoue, islamique, judaïque et taoïste, L’Harmattan, 2005, Imprimatur du diocèse de Paris.[↩]