Venendo dalla profondità del tempo e da tutte le regioni del mondo, le fiabe pullulano di indicazioni storiche o etnografiche. Non danno, segretamente, una lezione sul futuro spirituale di ogni essere umano? Questo libro, dopo una panoramica della storia dei racconti e delle loro diverse interpretazioni, offre commenti metafisici su tre racconti: “Pollicino”, “La ragazza dalle mani mozzate” e “Quello che fa il vecchio è sempre ben fatto”.
Sommario
- Prefazione
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Prima parte. Fiabe
- Capitolo I Le fiabe come materiale
- Capitolo II Interpretazioni delle fiabe
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Seconda parte. Interpretazioni metafisiche delle fiabe
- Capitolo III “La ragazza senza mani”
- Capitolo IV “Quello che fa il vecchio è sempre ben fatto”
- Capitolo V Il “Grande Orco e Pollicino”
Estratto
Il Grande Orco e Pollicino
L’orco percepì l’odore della carne fresca. Sente più di quanto vede e desidera ciò che sente. La freschezza della carne è la freschezza dell’anima umana nelle sue più nobili facoltà che la potenza divoratrice aspira a gustare, che vuole cogliere e saziare. Delle sue facoltà, il potere divoratore non conosce la vera natura. Ne percepisce solo la brillantezza, l’aspetto lucente: “sono pezzi deliziosi” dice l’orco il cui profumo lo ha condotto sotto il letto dove la moglie ha nascosto i sette fratelli. Che cosa significa? Se questo racconto tratta davvero di un viaggio iniziatico, sembra di poter vedere qui la considerazione di una delle tentazioni più forti che l’anima incontra nel suo cammino, cioè il desiderio di possedere i più alti doni spirituali. Abbiamo sempre trovato molto ambigua la formula del Guénon che, per distinguere la via iniziatica dalla via mistica, parla, per la prima “di una effettiva presa di possesso degli stati superiori dell’essere”. Ora, è forse qui che si manifesta nel modo più radicale la differenza, e anche l’incompatibilità, tra la via cristiana e quella guénoniana. L’iniziato guénoniano è una sorta di “tecnico” degli stati superiori di cui ha piena padronanza: abbiamo parlato a questo proposito di “demiurgo iniziatico”. Quanti lettori di Guénon, leggendo le sue presentazioni, non hanno sognato, anche loro, di raggiungere questo possesso effettivo, che li renderebbe, in un certo senso, dei superuomini definitivi, come questi onniscienti rosacroix che padroneggiano misteriosamente tutte le forme dello Spirito , vagando in silenzio, in incognito, come il conte di Saint-Germain, da ovest a est. L’attrazione esercitata da un tale “ideale” iniziatico sul lettore ben disposto è superiore a quella di ogni altro: che cos’è un cavaliere, un re, un imperatore, accanto a colui che, possedendo gli stati superiori dell’essere, possiede anche, e proprio per questo tutti i poteri, poteri che evidentemente disdegna di esercitare? Chi negherà che la speranza di un possesso così effettivo ha spinto molti a cercare l’organizzazione iniziatica adeguata per garantirne l’accesso, e li ha portati ad accettarne i vincoli? Ma chi non vedrà l’effetto dell’anima desiderante che vuole afferrare i suoi più alti postulati? Chi negherà che una parte della nostra anima consideri avidamente tutto ciò che le sue facoltà spirituali possono portarle e di cui crede di potersi nutrire?
Questo, ci sembra, è ciò che il racconto descrive nella figura dell’orco affamato della carne fresca dei sette fratelli; almeno questo è uno dei possibili significati del dramma che sta per compiersi, significato che ci pone di fronte alla più formidabile prova spirituale e che non è estraneo al peccato contro lo Spirito. Secondo la verità del cammino spirituale, questa prova deve infatti concludersi non con il possesso, ma con la rinuncia al possesso, rinuncia che è il “dono più perfetto” a cui possiamo aspirare. Al contrario, l’avidità “spirituale” appartiene all’orco della nostra anima, che non può comprendere che le alte facoltà dello spirito sono tutte di spogliamento, di povertà e di amore. [pp. 166-167]