Introduzione

Kant ha criticato la metafisica preesistente dopo essersi svegliato dal suo cosiddetto “sonno dogmatico” e prima di speculare su cosa avrebbe dovuto essere a suo parere la metafisica futura.1

E noialtri abbiamo avuto un bel da fare nel respingere il suo “sonno critico”2, nel negare che la ragione fosse in grado di criticare se stessa e nel credere che egli fosse già stato messo da parte in Germania fin dal XIX Secolo3; in realtà era a ragion veduta che Madiran, dopo Poulat, aveva denunciato il fatto che le nuove generazioni occidentali fossero ancora “tutte kantiane”!4. Eppure, prima di Émile Poulat, di Jean Borella ed altri, il kantismo era già stato respinto da Maurras e da Péguy, confutato da Gilson, criticato da Maritain, etc., anche se costoro erano tutti membri della “categoria degli umani ‘normalmente costituiti’”!5 Aggiungiamo quanto Claudel si rallegrasse pubblicamente “che Aristotele l’avesse affrancato dal kantismo”.6 Ora, molto prima di tutti questi autori, e poco dopo la scomparsa di Kant (1804), già Čaadaev (1794-1856), dopo aver letto la Critica della ragion pura, la chiama “Apologet adamitischer Vernunft”, ovvero “dottrina della ragione decaduta e pervertita”7 e più recentemente, indirizzandosi ad alcuni scienziati, Claude Tresmontant ha potuto parlare dei paleo e dei neo-positivismi, “come unica e sinistra solfa generata in effetti dal kantismo”.8

È difatti, la tirannia della ragione raziocinante: il razionali­smo, nonché lo scientismo del diciannovesimo secolo, perdurano negli spiriti secolarizzati di oggi che sembrano non saper più comprendere cosa governi la ragione e cosa la oltrepassi.9

Inoltre, ci è sembrato altresì opportuno ricordare per quale ragione la metafisica non potrebbe mai essere dogmatica e come, invece, il razionalismo e il criticismo lo siano – la psicologia avendo già dimostrato come vengano facilmente attribuiti agli altri i difetti che non si osa confessare per se stessi.

La dogmatica e il dogmatismo

È necessario confutare brevemente la recente confusione che pretende identificare il dogmatismo con la dogmatica. La dogmatica, tipica se non esclusiva del cristianesimo, costituisce l’insieme delle “formulazioni più trasparenti possibili dei misteri cristiani”.10 Inserita tra la rivelazione che annuncia e le teologie che interpretano, essa si presenta come una semplice formulazione che fissa e trasmette i misteri cristiani da meditare. Si tratta, in effetti, di fissarli per fronteggiare qualunque deriva “aneddoticamente” interpretativa, poiché è grazie alla dogmatica che vengono trasmessi da duemila anni e nei “secoli dei secoli”.

Il termine “Dogmatismo” viene dal latino cristiano dogmatismus (“insegnamento della fede”, dove dogma significa “insegnamento”); da qui la confusione fatta da taluni con la dogmatica. Inizialmente, a partire dalla fine del XVI Secolo, il “dogmatismo” caratterizza una dottrina filosofica “che parte dall’affermazione di una certezza o pretende di giungervi”11, per opposizione allo scetticismo: “dottrina, sentimento dei filosofi il cui dogma principale è dubitare”.12 Per estensione, il dogmatismo di una persona consisterà nella sua “disposizione a dare alle sue opinioni […] un carattere affermativo, categorico”.13 Si vede chiaramente l’assurdità e la totale contraddizione dell’ accostamento tra l’espressione di una opinione e la formulazione di una rivelazione, a dispetto della facile tentazione di assimilare l’aggettivo al sostantivo e di considerare dogmatica la dogmatica.

Abbiamo appena visto che le dottrine dogmatiche si oppongono alle dottrine scettiche il cui dogma è lo scetticismo! Ma non saranno invece entrambe dogmatiche nella misura in cui le une affermano certezze assolute e le altre irriducibili incertezze?

Riconosciuta questa conclusione sarà allora possibile una presentazione della metafisica, sia che la si consideri come scienza che come via, come discorso anti-dogmatico e non sistematico.

La metafisica come scienza

Se tutti i “procedimenti che mirano alla conoscenza”, sono “scienza” (scientia, da scire: sapere), allora innegabilmente lo è anche la metafisica.

Le scienze (in senso generico), a seconda che si occupino del particolare o del generale, si possono classificare in crescendo nel seguente modo: scienze (in senso moderno), filosofie e metafisiche.

Più precisamente, una scienza comporta un oggetto materiale e un oggetto formale: ad esempio, la pianta è l’oggetto materiale sia della botanica che della farmacologia; ma mentre la prima studia le sue strutture, sono le sue virtù curative ad essere studiate dalla seconda, entrambe costituendo così due oggetti formali ben distinti. Poiché la stessa realtà può essere considerata sotto molteplici aspetti, solo l’oggetto formale può, in fine, servire da principio per specificare una scienza.14

Metafisica: scienza delle scienze

Avendo la metafisica per oggetto materiale “tutto ciò che è”, si occuperà non solo degli oggetti materiali di tutte le altre scienze, ma anche dei loro oggetti formali. Questa preoccupazione (per gli oggetti formali delle altre scienze) in passato è stata chiamata “critica della conoscenza”, ramo della filosofia. Anche l’epistemologia contemporanea, sia che la si consideri come lo studio scientifico della conoscenza da parte delle scienze o come lo studio filosofico della conoscenza scientifica, rimane pur sempre uno degli oggetti materiali della metafisica.

Così, qualunque sia l’oggetto studiato, ivi comprese, ad esempio, le proprie emozioni o i propri sentimenti e pensieri – e che questi riguardino oggetti materiali o formali –, la metafisica ne costituirà il pensiero ultimo. Se, ad esempio, provassimo un sentimento di collera, potremmo eventualmente interpretarla con la psicologia come il sintomo di un inconscio complesso edipico; ma potremmo anche interrogarci sulla semplice possibilità della collera, sulla possibilità dell’interpretazione psicologica in generale, sulla possibilità di qualunque interpretazione, fino al fondamento analogico, presupposto di qualsiasi interpretazione.

Metafisica: scienza extralinguistica

Qualunque sia l’oggetto pensato, la coscienza di questo pensiero sarà formulata con l’aiuto del linguaggio. Ma se “una scienza ben formulata non è altro che una lingua ben costruita”15, non per questo il pensiero si riduce al linguaggio che lo esprime; esso è innanzi tutto, pensiero di qualcosa! Se il linguaggio è subordinato alla logica per il principio di non-contraddizione, non è lo stesso per il pensiero se non quando esso ragiona. Ora, il pensiero è, in primo luogo, visione della cosa, ovvero comprensione del fatto che questa cosa non può essere altro che quello che è. Solo allora il pensiero potrà formulare che il concetto di una cosa non può essere identico al concetto del suo contrario.16

La coerenza formale del linguaggio, per altro indimostrabile17, può anche rivelarsi una trappola (un sillogismo rigoroso è falso se le sue premesse sono false). Al contrario, più il pensiero è intuizione del reale, meno è certo della pertinenza del suo discorso e più questo gli sembra inadeguato. Gli è che il pensiero è prima di tutto una “apertura all’essere”: il reale si dà all’intuizione della mente, mentre il concetto si limita ad accompagnare questa intuizione del reale.18

Metafisica: fine del concetto

Il procedimento scientifico consiste nel ridurre le intuizioni delle cose ai loro concetti, non potendo operare nell’indeterminazione che implica l’apertura del pensiero all’essere. Borella definisce “chiusura epistemica del concetto” quel metodo costitutivo di ogni scienza19 per mezzo del quale essa rinuncia all’”apertura ontologica del concetto”, alla conoscenza partecipativa all’essenza delle cose.

Al contrario, nella metafisica, aprire il concetto all’essere –ovvero non ridurre un essere al suo concetto –, significa per il pensiero riconoscere che esso è una “perseverante aspettativa del reale” e ammettere che vi sia un al di là del concetto; che ciò che il pensiero pensa del reale per concetto, non esaurisce il reale; che per lui esiste un “volto nascosto dell’essere”. Allora questa intuizione del reale non appartiene più al pensiero (che è movimento), in quanto visione immediata e “contemplativa”.20

Pertanto, vediamo bene come il fine della metafisica sia il superamento della conoscenza concettuale. La fine del concetto, sia il suo scopo che il suo termine, è il reale! Una metafisica – quand’anche la si definisse dogmatica – è volta a superare ogni concetto; come fare infatti a dogmatizzare al di là dei concetti?

Metafisica: dalla scienza alla nescienza

Se la metafisica rinuncia alla scienza in termini di conoscenza concettuale, lo fa perché tale conoscenza è solo mediata e indiretta, “per enigma e attraverso uno specchio”.21 Per questo, la metafisica, per quanto alcuni studiosi lo abbiano auspicato, non potrà mai in nulla essere dogmatica, né fissarsi in un sistema che sarebbe necessariamente concettuale. Se il concetto fa la scienza, la fine del concetto, il suo al di là, potrà anche definirsi nescienza. Pascal lo esprime così:

“Le scienze hanno due estremità che si toccano, la prima è la pura ignoranza naturale, in cui si trovano tutti gli uomini nascendo, l’altra è quella a cui arrivano le anime grandi che, dopo aver attraversato tutto ciò che gli uomini possono sapere, si accorgono di non sapere nulla, ritrovandosi in quella medesima ignoranza da cui erano partiti”.22

In questo modo i pochi accenni di sistemi scompaiono. Lo spinozismo, il cartesianesimo, l’hegelismo, non esistono più; la monadologia di un Leibnitz non si studia più, e gli aspetti categorici o perentori (dogmatici) dell’opera di un Guénon diventano obsoleti23 – anche se poi Descartes, Leibnitz o Guénon, rimangono pur sempre dei veri metafisici. Invece, insieme ad altri metafisici, un Pascal non lascerà alcun sistema; e nemmeno un Malebranche; e l’insegnamento essenziale di un Platone potrà essere sintetizzato ricorrendo al simbolo della Caverna.24

Se la metafisica perviene alla nescienza e vi permane come nel vuoto – come si direbbe nel taoismo, nel buddismo o nella teologia mistica – che dire del razionalismo rifugiatosi nel comfort delle certezze di una ragione formalmente sottomessa alla logica, una ragione ragionante, raziocinante o, come direbbe Sartre, immiserita? Il suo sistema chiuso, bloccato, autoreferenziale; quanto dogmatismo, quanta illusione!

La metafisica come via

Si potrà rimanere sorpresi nel constatare che una scienza, la metafisica, culmini nella “non conoscenza” e che Aristotele, l’inventore della logica e del metodo scientifico, fosse un formidabile metafisico. Perché, cominciavamo ad intuirlo, la metafisica, da una parte conclude le altre scienze e, dall’altra, non è una questione di teoria o di sistema, ma di metafisico; e non nel senso in cui una categoria di umani ne faccia parte, ma nel senso in cui l’uomo, ogni uomo, si trova necessariamente al centro della domanda: chi sono?, ovvero, perché esiste qualcosa piuttosto che nulla? Non trattandosi più di saperi, ma di esperienze, si è necessariamente portati a considerare la metafisica come via.

Metafisica: fine dell’illusione oggettiva

Lo stesso Aristotele espresse con un gioco di parole, che si tratta di pathein piuttosto che di mathein25, di sperimentare più che di conoscere. Al contrario, quando Kant (dopo S. Anselmo) criticherà l’argomento cartesiano dell’esistenza di Dio, confonderà “provare” con “comprovare”.26 Il metafisico che rinuncia alla conoscenza concettuale al fine di “contemplare” l’essenza delle cose, sa anche che non esiste interrogativo metafisico che non implichi se stesso – l’abbiamo visto anche in Heidegger. De facto, ciò che la fisica quantistica ha insegnato al fisico (l’indeterminazione, l’alterazione dell’osservazione da parte dell’osservatore, etc.), la metafisica lo ha considerato da sempre: il limite del pensabile, l’indecidibilità formale, il fondamento della logica (non-contraddizione), la coesistenza dei contrari apparenti, i paradossi formali ed esistenziali…

Seppure alcuni fisici, giunti ai limiti della loro scienza, abbiano sfiorato la metafisica (ad esempio, Mach), la fisica rimane innegabilmente la perfetta esemplificazione di una scienza, forse la più positiva di tutte, ma che si è scontrata con i propri limiti. E solo un fisico, che noi si sappia, ha spiegato la fisica quantistica e l’astrofisica, alla luce della metafisica: Wolfgang Smith.27

Pertanto, la fine dell’illusione oggettiva non consiste nello smettere di credere nelle leggi positive che permettono di inviare un uomo nello spazio o di fabbricare automobili a benzina, ma nello smettere di credere nell’oggettività di un universo finito senza confini, di un’evoluzione che comincia solo dopo l’inizio (muro di Planck). Se come il kantismo, questo oggettivismo da diciannovesimo secolo persiste nelle menti, non è certo perché non sia stato denunciato dalla fisica e dalla fenomenologia. In ogni caso, di fronte al dogma dell’oggettivismo, la metafisica rimane distaccata, sia dall’oggettivismo che dal dogmatismo.

Metafisica: scoperta della rivelazione

Quel “volto nascosto dell’essere” per il quale il concetto deve essere sacrificato, non è realmente inconoscibile; semplicemente, “la sua conoscenza richiede una trasformazione del soggetto conoscente, una conversione radicale della sua intenzione speculativa”; si supera allora “il piano ordinario della filosofia e del pensiero per accedere a quello della vera ‘gnosi’”. Questa gnosi, “perfezione di ogni orientamento cognitivo”28, consiste nell’ “acquisizione trasformante della forma concettuale nel suo contenuto trascendente”; filosoficamente, il concetto riemerge sempre nell’ordine della conoscenza, ma scompare nel suo stesso compimento: la rivelazione dell’essenza.29.

La metafisica sarebbe dunque una religione? Se si pone tale questione, è perché alcuni metafisici del XX Secolo hanno creduto di trovare una metafisica unica e universale, sovrastante le religioni (Guénon, Schuon). Accecati dai formidabili progressi dello studio comparato delle religioni – le quali erano ridotte a sistemi concettualizzati –, sono stati tentati di elaborare il sistema dei sistemi, a rischio di rettificare tale o talaltra rivelazione che non rientrava nel quadro costruito o nelle categorie stabilite30.

Se è vero che le religioni propongono formulazioni ultime sull’essenza delle cose, allora quasi tutti i teologi sono al contempo dei metafisici. Queste formulazioni sono solitamente positive ma ultimamente vengono espresse sempre più in forme negative, come nel caso dell’apofatismo buddista o della teologia apofatica del cristianesimo. Vale a dire che anche qui, per accedere alla “contemplazione” delle essenze, è necessario negare i concetti – che “creano idoli di Dio”31. Ma questo spazio comune o quest’aria condivisa tra metafisica e religione, non le rende equivalenti né potrebbe fare della metafisica il loro coronamento.

È semplicemente per la natura delle cose che la metafisica non può collocarsi al di là delle religioni. In primo luogo perché non è in fine un discorso atto a sovrastare tutti gli altri, essendo necessariamente rinuncia ad ogni discorso. Inoltre, e forse soprattutto, perché realizzando i propri limiti e quelli del suo interlocutore, scopre ciò che la supera e quindi non può più pretendere di esserne il geniale inventore, salvo ridurre il trascendente ora scoperto ad una costruzione o ad un’astrazione. Ne consegue che il metafisico è condannato a realizzare la rivelazione; a riconoscere, oltre l’illusione della propria luce, quella Vera, che gli è stata donata. Scopre così che il potere di conoscere gli viene solo dalla gratuità di un Dio “Padre delle luci” (Gc I, 17) e che il Che cosa metafisico è precisamente il Logos, il Verbo divino stesso: “la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9).32  

Riconoscere quello che ci è superiore – un’autorità, per esempio –, non è dogmatismo, al contrario, è la più drastica umiltà.

D’altronde, poiché siamo appena passati dalla metafisica alla rivelazione cristiana, ricordiamo che la dogmatica di questa religione riconosce S. Paolo tra le autorità fondatrici della Rivelazione – come una delle “colonne della Chiesa” –, benché non abbia mai “conosciuto il Cristo nella carne”, ma avendo “ricevuto la rivelazione del Vangelo direttamente dal Signore” (I Cor., XI, 23). Quindi, la dogmatica cristiana ammette che possa darsi almeno una rivelazione non proveniente esclusivamente dal Cristo “storico”, ma anche dal Figlio interiore che Dio, dice S. Paolo, “ha rivelato in me stesso” (Gal., I, 17). In altre parole, ammette la possibilità di un’”esperienza spirituale” con valore di rivelazione; un modalità di conoscenza attraverso la quale l’intelletto pneumatizzato partecipa della conoscenza che Dio acquisisce di Se stesso nel suo Verbo. Questa esperienza, norma e riferimento dottrinale della fede cristiana, senza tuttavia costituire una “seconda rivelazione”, fa di questo modo di conoscenza quello stato spirituale che realizza la perfezione della fede e a cui S. Paolo ha dato il nome di “gnosi”.33 Se ve ne fosse ancora bisogno, costatiamo qui come la dogmatica non sia dogmatica.

Metafisica: la cerca di un Graal già trovato

In definitiva, la metafisica non è una via in quanto tale; al massimo, dopo aver consentito in primo luogo l’intellezione della rivelazione, conduce in seguito al modo, cosciente o meno, in cui l’intelligenza si seppellisce nella fede.

Certamente la ricettività intellettiva consona alla rivelazione si comunica e si insegna attraverso il linguaggio; essa è dunque un atto di conoscenza necessariamente speculativo. Non si tratta quindi di un semplice esercizio della ragione naturale, ma dell’”attualizzazione di quelle possibilità teomorfiche che implica la creazione dell’uomo ‘a immagine di Dio’ “ – i logoi spermatikoi o Forme del Verbo divino inseminate in ogni intelligenza – e quindi di “una sorta di ‘rivelazione’ interiore e congeniale per immanenza nell’anima di quelle icone intellettive che sono le idee metafisiche”.34

Allorché l’intelligenza ha compiuto la sua funzione, consistente nel rendere intellegibile il messaggio della fede in modo che l’essere umano possa aderirvi liberamente, entra allora in una Dotta Ignoranza (Nicola Cusano): passaggio nel quale l’intelligenza chiude gli occhi (S. Dionigi Aeropagita)35 davanti a ciò che in ogni caso è “al di là degli occhi” (Malebranche)36, diretta accettazione della sua creaturale “ignoranza ontologica”.

Se per entrare nella “sovraconoscenza”, l’“epignosi” paolina, è necessario “aver rinunciato ad ogni conoscenza, fosse anche la conoscenza stessa delle Idee”37; questo vuol dire che “l’intelligenza metafisica deve impegnarsi concretamente nella fede nel Dio rivelato: senza rivelazione, non esiste Oggetto divino”; “e senza Oggetto divino […], non esiste alcuna possibilità di liberazione, poiché ogni pellegrinaggio verso una luce, in quel caso assente, viene impedito. L’intelligenza deve operare una sorta di sacrificium intellectus, essa deve seppellirsi nella fede come nella morte del Cristo Logos, ma per rinascere con Lui”.38

Questo programma metafisico è quasi sempre già realizzato: “non mi cercheresti, se non mi avessi [già] trovato”, scrive Pascal;39 lo stesso vale per la cerca del Graal: è dopo averlo trovato per grazia che si parte alla sua ricerca (cfr. Chrétien de Troyes).

Note

  1. “Lo confesso francamente: l’avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, per primo mi svegliò dal sonno dogmatico e dette tutt’altro indirizzo alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa”. Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, 1783. In breve: dopo aver ingenuamente creduto che il nostro spirito potesse dogmatizzare, vale a dire pronunciarsi con certezza sull’essere, sul mondo, sull’Io e su Dio, il filosofo si risvegliò dal suo sonno dogmatico e si pose la questione: a quale condizione è possibile l’affermazione di un “dogma” metafisico su Dio, sul mondo e sull’Io? Kant risponde: a condizione che ci venga data la conoscenza, che si abbia la facoltà di percezione dell’essere, di Dio, del mondo e dell’Io, allo stesso modo in cui attraverso i sensi percepiamo la realtà o la presenza esistenziale delle cose della natura. Posta in questi termini: “allo stesso modo”, Kant può facilmente – ma erroneamente, a nostro parere – concludere che in effetti non abbiamo queste facoltà di vedere le realtà metafisiche.[]
  2. Jean Borella, La crise du symbolisme religieux, Paris: L’Harmattan, 2008.[]
  3. È ciò che l’abate Studach insegna a Montalembert nel 1828; Lecanuet, Montalembert, t. I, p. 58.[]
  4. “Tutti kantiani”, secondo le parole di Émile Poulat, è il titolo di un articolo di Jean Madiran (Présent, 3 aprile 2009), per segnalare che nascere kantiano –o modernista – non è sempre stato quella specie di fatalismo “che il XX Secolo ha lasciato in eredità al XXI”[]
  5. Madiran, ibid.[]
  6. Intervista degli anni Cinquanta, ritrasmessa su France Culture il 25 luglio 2005.[]
  7. Paul Evdokimov, Le Christ dans la pensée Russe (Théologie sans frontières): Cerf, 1970, p. 40.[]
  8. Les metaphysiques principlaes, Paris: O.E.I.L., 1989, p. 4. Kant è quindi senza dubbio il filosofo-pivot di tutta la filosofia occidentale; c’è un prima di Kant e un dopo Kant. Anche alcuni pensatori buddisti fanno volentieri riferimento a lui; ma, secondo noi, è per apofatismo dogmatico – seguente un dogmatismo che, ad esempio, non si ritrova nel buddismo tibetano.[]
  9. Si veda, ad esempio, il nostro articolo “Jean Borella, Distinguer entre intelligence et raison”, Contrelittérature, n. 22, Paris: L’Harmattan, 2010, pp. 105-124. In linguaggio pascaliano potremmo dire che “l’ultimo passo della ragione è il riconoscere che vi sono un’infinità di cose che la sorpassano”. Pascal, Les Pensées, sezione V.[]
  10. Cfr. Jean Borella, Problemes de gnose, Paris: l’Harmattan, 2007, cap. VII.[]
  11. Dictionnaire de l’Académie française, 9e édition.[]
  12. Ibid., 8e édition, i corsivi sono dell’autore.[]
  13. Ivi,i corsivi sono dell’autore.[]
  14. Si tratta di considerazioni espunte da François Chénique, Eléments de logique classique, nuova edizione, Paris: L’Harmattan, 2006.[]
  15. Condillac, Œuvres, Paris: Arnoux et Mousnier, 1798, t. XXIII, p. 7. Naturalmente Condillac ha in mente innanzitutto le matematiche, e nella frase seguente afferma: “Le matematiche sono una scienza ben formulata il cui linguaggio è l’algebra” (ibid.), p. 191.[]
  16. Borella, Le mystère du signe, Paris: Maisonneuve et Larose, 1989, p. 97.[]
  17. Se il corollario del teorema di Gödel prova che la non-contraddizione formale è indimostrabile, gli è perché questa non-contraddizione emerge in fine dall’ordine dell’intuizione; Borella, ibid., p. 98.[]
  18. Cfr. Borella, op. cit.[]
  19. “Chiusura” poiché si scarta dal concetto tutto ciò che potrebbe impedirne una definizione esaustiva, è la chiusura su se stesso; “epistemica”, perché questa chiusura è specifica della conoscenza scientifica. Borella, op. cit., p. 100.[]
  20. Cfr. Borella, op. cit.[]
  21. San Paolo, I Corinti, XIII-12; o “attraverso uno specchio, per enigmi (per speculum in aenigmate)”.[]
  22. Pascal, Pensées, ed. Havet, III, 18.[]
  23. J. Borella, Esotérisme guénonien et mystère chrétien, L’Age d’Homme, Lausanne, 1997.[]
  24. Borella ha saggiamente modificato la definizione di “mito della caverna” che dà adito a confusione; Penser l’analogie, Genève: ad solem, 2000, pp. 162-183. Allo stesso modo: La crise du symbolisme religeux, ried. Paris: l’Harmattan, 2008, nel quale si può leggere che è la “conversione dell’intelligenza che Platone ci insegna nel simbolismo della Caverna: ci insegna che la vera filosofia è tutt’altro che un gioco concettuale o un semplice esercizio dell’attività pensante, in quanto coinvolge tutto l’essere in una ascesa verso le realtà propriamente soprannaturali”, p. 297.[]
  25. Cfr. Frammento 15 conservato da Sinesio di Cirene (Dion, 48°); Turchi, Fontes Historiae Mysteriorum Aevi Hellenistici, Roma, 1930, n. 83, p. 53; Borella, Ésotérisme guénonien et mystère chretiénne, Losanna: L’Âge d’Homme, 1997, p. 170.[]
  26. Borella, La crise du symbolisme religeux, op. cit. p. 332. D’altronde è proprio Kant a chiamarlo “argomento ontologico”; così facendo, non solo lui stesso commetterà un errore, ma farà insidiosamente sbagliare molti altri dopo di lui, fino a un Comte-Sponville che, recentemente, chiama questo argomento “prova ontologica”, per meravigliarsi in seguito della debolezza della prova! (L’Esprit de l’athéisme, Albin Michel, 2006, p. 87).[]
  27. Wolfgang Smith, The Quantum Enigma, 3a ed., Hillsdale: Sophia Perennis, 2005. Vedere anche, tradotto in francese, Sagesse de la cosmologie ancienne, Paris: l’Harmattan, 2008, il cui sottotitolo inglese è esplicito: Contemporary Science in Light of Tradition.[]
  28. Borella, “Gnose et gnosticisme chez René Guénon”, Les Dossiers H: René Guénon, Lausanne: L’Âge d’Homme, 1984, p. 99.[]
  29. Borella, Le mystere du signe, pp. 98, 100[]
  30. Tale il dogma trinitario come riduzione “all’assurdo”, ma inevitabile data la mentalità cristiana (sic), come denunciato da Schuon; o tale la dissacrazione dei sacramenti divenuti exoterici, segreto “rivelato” da Guénon! Queste osservazioni non compromettono l’importanza dei contributi di questi due autori alla conoscenza delle religioni o alla codificazione dell’esoterismo.[]
  31. S. Gregorio di Nissa, De vita Moysis, PG44, 377 B.[]
  32. Borella, Lumières de la théologie mystique, Losanna: L’Âge d’Homme, 2002, p. 61[]
  33. Borella, “Gnose e Gnosticisme chez René Guénon”, op. cit., pp. 98-99.[]
  34. Borella, “La gnose au vrai nom”, III, 7, “Krisis” n. 3, settembre 1989.[]
  35. Teologia mistica, 997 B.[]
  36. De la recherche de la verité, II, II, 3.[]
  37. Borella, Penser l’analogie, op. cit., p. 189.[]
  38. Borella, Lumières de la theologie mystique, op. cit., p. 189, n. 25.[]
  39. Pensées 553 (Section VII – La morale et la doctrine). Pascal aggiunge in seguito questa parentesi che rivela la sua fonte: (Ti può cercare solo colui che ti ha già trovato… Sì, possiamo cercarti e trovarti; ma non possiamo precederti.– Bernardo di Chiaravalle).[]