Conferenza di Politica Hermetica, 10 aprile 2015, presso il convento dell’Annonciation, 222, rue du Faubourg-Saint- Honoré, 75008, Parigi.
Pubblicato in Politica Hermetica n° 30, 2017 (pp. 159 sq) : “Un prêtre indépendant au XIXe siècle : l’abbé Lacuria (1806-1890)”.
Tesi presentata all’EPHE nel gennaio 2015.
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
Presentazione della vita e del pensiero di Lacuria da un punto di vista esoterico-politico, come si trova nell’argomento di Politica Hermetica, o del Corriere Metapolitico italiano. Questo angolo di visuale include le dimensioni della concezione del sacerdozio di Lacuria, il suo pensiero teologico e il suo pensiero politico e sociale.
Introduzione
L’abbé Lacuria (1806-1890) è una figura piuttosto inosservata del tumultuoso XIX secolo. Se alcuni hanno sentito parlare di lui, è perché non si sono interessati alla storia, alla politica, alla società o alla Chiesa cattolica del XIX secolo; tanto meno alla teologia, alla filosofia, all’etica, all’estetica, alla psicologia, alle scienze dell’educazione o alla metafisica, né alla mistica – tutti campi preferiti dall’Abbé Lacuria. Anzi, curiosamente, gli unici campi in cui Lacuria è stato citato di recente – nell’ultimo terzo del XX secolo – sono quelli del romanticismo, dell’esoterismo e dell’occultismo.
Nell’esoterismo, musicale o meno, aritmetico o meno, scientifico o amatoriale, troviamo gli accademici Jean-Pierre Laurant, Jean-Pierre Brach e Joscelyn Godwin, da un lato, e gli scrittori Raymond Christoflour e Jean-Pierre Bonnerot, dall’altro; con il Romanticismo, incontriamo Franck Paul Bowman; infine, con l’occulto, è Robert Amadou, il più prolifico, che si erge a promotore di un Lacuria che sarebbe teosofo e mago.
Se torniamo indietro nel tempo fino alla Belle Époque, o addirittura alla fine del XIX secolo, Lacuria è già considerato un esoterista della quarta epoca da Albert Jhouney1, un ermetista da Camille Mauclair, un “occultistica” da Marcus de Vèze, un occultista da François Jollivet-Castelot, un cabalista da un politico regionalista della France d’Oc, da Papus o da Jacques Marion…. Lacuria è persino uno dei magi scelti da Sar Péladan e subito ripreso da Huret, Henri Nizer, Etienne Cornut, Sergines, Pierre Janet… la lista potrebbe essere più lunga!
In altre parole, Lacuria si trova soprattutto dove non è mai stato, tanto che si sarebbe potuto temere che fosse irrilevante parlare di lui in Politica Hermetica! Per fortuna, Lacuria è stato per tutta la vita un sacerdote, ma anche un teologo, un vero metafisico e un autentico mistico. In altre parole, lungi dall’essere il sacerdote che gli storici si aspettavano nell’Ottocento, cioè una figura sociale forgiata nel fuoco della riforma sulpiziana e conforme al modello previsto, Lacuria abbracciò tutto l’esoterismo intrinseco al cattolicesimo, e questo – nell’Ottocento, ci sembra, fu un tour de force – sfuggendo a tutti i riduzionismi del suo tempo: razionalismo, fideismo, tradizionalismo, profetismo, apocalitticismo… (anche il regalismo, per la sua eventuale componente sacrale).
Poiché si occupava anche di società, politica, educazione ed economia, sebbene da dilettante, Lacuria è in definitiva un soggetto molto rilevante per lo studio dei legami tra l’Hermeticus e il Politicus. Diremo qualche parola sulla sua biografia, prima di illustrare questi legami su alcuni punti significativi.
Biografia
Lacuria nacque a Lione – fatto forse non trascurabile – nel gennaio 1806 e fu subito battezzato nella chiesa di Saint-Nizier, dove trent’anni prima era stato battezzato Ballanche. Si trattava di una famiglia di origine piemontese, i cui primi membri si trovano in Savoia già dal 1625, e un ramo della quale scese a Lione nel XVIII secolo. Il padre di Lacuria, come i suoi due fratelli, era orafo e gioielliere, mentre la madre era orfana e tessitrice. Lacuria era il terzo di cinque fratelli sopravvissuti; due dei suoi fratelli sarebbero diventati pittori ingristi, uno maestro di scuola e l’altro, che gli sopravvisse di tre anni, fondatore di una casa di riposo gestita da suore ausiliarie.
L’infanzia di Lacuria trascorre all’inizio del Primo Impero, quando “i cittadini che si erano tenuti lontani dalle chiese per incredulità cominciano a presentarvisi almeno per convenienza”((Portalis, Ministro del Culto, 1807; citato da Dansette Adrien, Histoire religieuse de la France contemporaine, De la Révolution à la IIIème République, Flammarion, 1948, p. 201), cosa che naturalmente non accade alla sua piissima famiglia. La prima Restaurazione, poi, con il ministro Fontanes2 che voleva fare della religione “l’anima di tutta l’educazione”3, permise a Lacuria di studiare in un seminario minore. È lì che aggiunge “Paul” ai suoi due nomi di battesimo: François e Gaspard.
Nel 1826, Lacuria entrò nel seminario maggiore di Saint-Irénée a Lione e, accanto al superiore Gardette, ebbe come maestro uno dei “padri del clero lionese”4: l’abbé Duplay, “il tipo perfetto di sulpiziano del XIX secolo”5 Se fu ordinato definitivamente solo nel 1836, come sacerdote secolare diocesano, fu perché Lacuria aveva interrotto il seminario dal 1829 al 1834. Sulla base di documenti e fatti comprovati, è possibile che sia stato un soldato di leva per un periodo molto breve, ma che, come altri, abbia sofferto di un’interruzione della sua formazione. In seguito si impegnò nel movimento lionese per il cattolicesimo liberale – di cui diventerà presidente locale – e partecipò al movimento L’Avenir per la libertà di educazione, insegnando alla manécanterie di Saint-Nizier – “manécanterie”, cioè un seminario minore che consentiva ai poveri di accedere all’università, così chiamato per aggirare la legge. Era la futura scuola della Petit Chose, dove, scrive Daudet, si imparava più a servire la messa che il greco o il latino6
Nel 1833 contribuì a fondare il Collège d’Oullins, dove terminò il seminario per essere ordinato e dove rimase fino al 1847. Questi furono senza dubbio i migliori anni della sua vita. Con i bambini strinse legami che sarebbero diventati amicizie indefettibili e inventò il concetto di arte vivente, che era quello di educazione. Questo concetto non compare nel suo opuscolo De l’Église, de l’État et de l’enseignement, ma farà parte dell’opera della sua vita Les Harmonies de l’être, entrambe pubblicate nel 18477. Costretto dai suoi colleghi a scegliere tra la pubblicazione del suo grande libro e il soggiorno al Collège d’Oullins, Lacuria optò per il miraggio di Parigi. Lì, per quarant’anni, condusse una vita di povertà nei pressi del Panthéon, una vita dedicata alla scrittura di testi mai pubblicati e all’assidua partecipazione ai concerti per gli studenti del Conservatorio iniziati da François-Antoine Habeneck (nel 1828) e proseguiti dal suo successore (dal 1842 al 1871), Daniel Auber. Il gran numero di amici che incontrava ogni settimana – pittori, musicisti, astrologi, ex studenti, medici e soldati – fece sì che potesse essere definito un “eremita mondano”, come Pascal, che ammirava e che era sepolto nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont, la parrocchia dove Lacuria era sacerdote soprannumerario.
A partire dagli anni Sessanta, l’associazione degli ex alunni gli versò una pensione e, quando si ammalò a ottant’anni, fu organizzato il suo ritorno al Collège d’Oullins, dove termina la riscrittura di Harmonies de l’être, che aveva occupato tutta la sua vita e che viene pubblicata postuma nel 1899, nove anni dopo la sua morte.
Legami tra “esoterismo” e “politica
Ci sono almeno tre temi che illustrano il particolare rapporto di Lacuria tra esoterismo e politica: in primo luogo, il suo modo di essere sacerdote nella società – che può essere visto in relazione alla formazione sulpiziana allora in atto al Grand Séminaire Saint-Irénée di Lione; in secondo luogo, il suo modo di guardare alla teologia – che può essere visto in relazione a quella che è stata chiamata la “Scuola mistica di Lione”; e in terzo luogo, il suo pensiero politico e sociale – che può essere visto in relazione al pensiero meneghino, fourierista e saint-simoniano; Come indicato, e soprattutto nel caso di Lacuria, il termine “esoterico” è qui inteso soprattutto nel senso di una religione cattolica che ammette una metafisica della sua teologia, una mistica ortodossa, e che incoraggia la santità come cammino spirituale a cui ogni battezzato è invitato; quanto a “politico”, il termine è inteso nel senso di polis, società in senso lato.
Concezione del suo sacerdozio
Cominciamo dal modo in cui Lacuria divenne sacerdote. Lo storico vorrebbe mostrare l’influenza della formazione sulpiziana su Lacuria – formazione secondo la quale l’apprendimento di uno stato (nel senso in cui oggi parleremmo di “categoria socio-professionale”) prevale sull’acquisizione di conoscenze8, secondo cui è la morale esemplare, persino compassionevole, che deve essere acquisita. Sarà difficile trovare questa influenza in Lacuria, che è troppo originale, persino iconoclasta, a modo suo; d’altra parte, possiamo mostrare quanto se ne discosti. A partire dalla motivazione fondamentale di Lacuria: egli vuole “rivolgere tutta la sua attenzione alla miseria umana”9, e per lui questa miseria umana non era il risultato delle disfunzioni della società ma, nel linguaggio cristiano, il risultato della caduta della creatura; da qui il suo impegno quotidiano per i bambini, per i più poveri di lui, o per le persone che incontrava e, nel frattempo, convertiva al cristianesimo; non le incontrava mai dall’alto del suo status, le prendeva sempre per mano con amore – e molti erano quelli che ricambiavano il favore. Qui abbiamo Lacuria con il suo terzo nome di battesimo, scelto al seminario minore: Paolo, come missionario della carità10. Quanto al rispetto della disciplina e della tradizione, che la sua formazione sulpiziana avrebbe dovuto infondere in lui, con tutte le sue regole e il suo conservatorismo, rendendolo conforme alla tipica figura del sacerdote contenuto nella società dei suoi confratelli, non si vede da nessuna parte. Certo, all’inizio fa parte del gruppo dei quattro sacerdoti-direttori del Collège d’Oullins, ma si distingue subito, innanzitutto per il legame originale che stabilisce con i bambini, anche a costo di creare qualche gelosia; poi per il suo libro, che prima fa stampare in segreto, cioè ai margini dei suoi confratelli; e infine per le sue consultazioni con una veggente che interroga un serafino per lui. Non menzioneremo l’imposizione delle mani come fattore di differenziazione, poiché questa, sotto la voce “magnetizzazione”, è attestata anche dal suo correligionario Abbé Dauphin, che era un grande conformista e un futuro vescovo. In seguito, gli unici sacerdoti con cui si tenne in contatto di tanto in tanto furono tre amici: gli abati Gay, de Beaufort e Mermet, ai quali va aggiunto Lamennais, e due ex studenti, gli abati Mouton e Captier. Non stabilì invece alcun legame con i sacerdoti di Saint-Etienne-du-Mont, anche se per trent’anni vi celebrò la Messa ogni domenica. Soprattutto, i suoi principali amici – o anche solo conoscenti – erano pittori e musicisti (Gounod, Chausson, d’Indy, Odilon Redon, i fratelli Flandrin, Fantin-Latour padre e figlio, ecc.)11, o letterati (Blanc-de-Saint-Bonnet, Paul de Musset, Victor de Laprade…)12; ce n’erano molti altri, attivi in tutti i campi e che Lacuria frequentava, in particolare nel Salon della sua amica Berthe de Rayssac.
Rimane la priorità data alla pietà rispetto agli studi(Mas Gabriel, Le cardinal de Bonald et la question du travail (1840-1870), thèse d’histoire de l’Université Lumière Lyon 2, 2007, 1ère partie, ch.IV, III.1.)); anche in questo caso, l’autentico misticismo di Lacuria va ben oltre la pietà, anche se egli rimase assiduo per tutta la vita nella lettura del breviario – al punto da chiedere al suo vescovo una dispensa quando divenne cieco nel 1880 – ma l’obbedienza alla Chiesa non era una caratteristica esclusiva della formazione sulpiziana. Per quanto riguarda gli studi, Lacuria passò la vita a studiare, anche se maldestramente, praticamente tutto ciò su cui poteva mettere le mani. Innanzitutto Pascal e Sant’Agostino, i suoi preferiti. Studiò anche Gioberti, raccomandato dallo stesso Lacordaire, Bossuet e Fénelon, naturalmente Blanc-de-Saint-Bonnet e i filosofi tedeschi tradotti da Victor Cousin, e così via. Meno comune è il marcato interesse di Lacuria per tutte le scienze: l’astronomia, la chimica, la medicina, e anche quelle che non sarebbero mai diventate scienze: la fisiognomica, la frenologia, l’astrologia, e anche l’oreficeria o l’elettromedicina, proprio nel secolo in cui la medicina abbandonava il discorso teorico a favore della sperimentazione. È a causa del suo interesse per le scienze che Lacuria inviò nel 1847 il suo libro di sintesi – un’ambiziosa “sintesi” con il sottotitolo: “le leggi dell’ontologia, della psicologia, dell’etica, dell’estetica e della fisica spiegate l’una dall’altra e ridotte a un unico principio” – come servizio stampa a scienziati riconosciuti e a riviste scientifiche: Arago, Becquerel, Raspail, tra gli altri, così come “Les Annales de la chimie”, “la Gazette médicale” e il “Bulletin de l’Académie de médecine”. Inoltre, nella stessa teologia, non esitò a meditare sui misteri cristiani, contrariamente a un catechismo riduttivo noto ai laici, fino al punto di essere falsamente accusato di volerli spiegare per intero – cosa che non fu mai, in modo molto esplicito, né il suo approccio né la sua pretesa.
A tutto questo va aggiunto che Lacuria era talmente refrattario alla sua formazione sulpiziana – che, va detto, era una degenerazione di quella iniziale – da consigliare ai suoi ex-allievi di prendere alcuni e lasciarne altri; e quelli che andrebbero presi sono S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino; ciò che va lasciato è quasi tutto il resto – ad eccezione, naturalmente, di tutto ciò che ha a che fare con la celebrazione della Messa, che per Lacuria costituisce una dignità infinita13 e una funzione di cui nemmeno gli angeli sono degni.
Potremmo concludere questo ritratto di un sacerdote quasi iconoclasta rispetto al modello cosiddetto sulpiziano citando Berthe de Rayssac:
Sembra che il buon abate trascini con sé un intero coro di cherubini e che ne lasci indietro alcuni. Il suo povero bastone ricurvo è un bel pastorale mistico da vescovo, e la sua barba bianca illumina il suo volto candido14.
Oppure la testimonianza del canonico Pisani, che ricorda Lacuria nel 1900:
Nello stesso periodo [parla degli anni Cinquanta dell’Ottocento] apparve l’abbé Lacuria, che cominciò a venire a celebrare la messa a mezzogiorno e mezzo e continuerà a farlo per quasi trent’anni. Lo abbiamo visto tutti, puntuale e modesto, che parlava poco e, forse per questo, aveva la fama di grande studioso; tutto in lui era misterioso, fino al piccolo libro logoro e persino sporco che tirava fuori dalla tasca e porgeva al chierichetto, perché doveva rispondere secondo il rito lionese, che aveva continuato a seguire anche dopo l’adozione del rito romano. L’Abbé Lacuria è uno degli ultimi sacerdoti ad aver mantenuto l’usanza di portare il cappello a cilindro15.
Il pensiero teologico
Se passiamo ora alla ricerca teologica di Lacuria, anche qui la sua indipendenza è fortemente marcata. Ciò è necessariamente dovuto in parte al contesto della sua formazione e, in questo caso, alle carenze di tale formazione. Così, molto probabilmente, l’inadeguatezza della filosofia del seminario di Lione ha frustrato Lacuria fino a quando non ha trovato in Lamennais il cuore della sua ricerca e la soluzione a tutte le questioni: un’idea di Trinità, che avrebbe rielaborato in modo nuovo (“in modo nuovo”, perché la Trinità di Lacuria non è filosofica come quella di Lamennais, ma rimane teologica, anche se espressa metafisicamente, o meglio, misticamente). Qui Lacuria fa riferimento al suo nome di battesimo: François, “mite e mistico”, come ha detto l’accademico lionese Joseph Serre, paragonando Lacuria a Francesco d’Assisi. Alla mitezza corrisponde la sintesi sistematica che, seguendo Sant’Ireneo, vedrà nella creazione l’opera delle due mani di Dio16, e questo, in Lacuria, fino alla molecola della chimica moderna, che rivela cosa appartiene al Figlio e cosa allo Spirito Santo. Al suo misticismo corrisponde tutto ciò che offenderà i suoi correligionari: il tentativo di sintetizzare la Creazione e il panteismo sotto il titolo maldestro di “unità della sostanza”, o la sua particolarissima definizione della filosofia come possibilità di armonia tra scienza e fede – cioè, di fatto, una teologia mistica, direttamente dionisiaca17 o la sua concezione degli ordini naturale e soprannaturale in quanto non si escludono a vicenda. Qui Lacuria precederà il cardinale de Lubac, ma non avrà più successo, nel secolo in cui un certo ontologismo, insegnato ufficialmente a Lovanio, sarà finalmente gettato via con l’acqua sporca.
Questi tre elementi principali della possibile eterodossia di Lacuria (il suo pseudo-panteismo, l’uso improprio del termine filosofia e la presenza del soprannaturale nel naturale) costituiscono, secondo gli autori, una delle fonti oggettive – anche se miopi – della sua assimilazione a varie forme di esoterismo. Ad esempio, l’errore panteistico – o panteizzante – di Lacuria sta soprattutto in una formulazione maldestra; Lacordaire griderebbe certamente all’eresia, ma Lamennais confermerebbe che Agostino diceva la stessa cosa. In ogni caso, non appena Lacuria si rende conto del rischio, riformula la sua unità di sostanza secondo la sua astuta metafisica dell’idea di non-essere, che può così costituire un legame, ontologico ma non sostanziale, tra Creatore e creatura.
I numeri dell’opera teologica di Lacuria illustrano anche la sua totale discrepanza, la sua assoluta indipendenza, che è molto simile all’opera di un mistico, di un autodidatta e di una personalità idiosincratica. Per esempio, non c’è simbolismo dei numeri, non c’è mistica dei numeri; in Lacuria non c’è gematria, non c’è isopsefia, non c’è aritmosofia; solo un accenno tardivo e aneddotico alla cabala ebraica. Se l’uso che Lacuria fa dei numeri deve essere chiamato in qualche modo, dovrebbe essere chiamato metafisica dei numeri, o forse meglio, teologia dei numeri. Per Lacuria, i numeri non sono né le cause di nulla né gli strumenti di nulla; non hanno uno statuto ontologico e nemmeno epistemologico; appartengono a una scienza conosciuta solo da Dio e che Lacuria stesso ammette di ignorare totalmente. Che cosa rimane? Rimangono i numeri, negativi per natura perché esprimono limiti, distinzioni, forme intelligibili… e queste forme intelligibili sono collocate in Dio stesso, nel Verbo attraverso il quale tutto è stato creato. Questo è il platonismo rettificato da Sant’Agostino, molto semplicemente. Da quel momento in poi, la matematica o la geometria, che unisce il teologico allo scientifico, esprime il legame tra la realtà e il suo principio, tra Dio e il mondo. Non è l’essere che sarebbe comune tra Dio e le creature, ma la sua espressione negativa attraverso i numeri.
Per questo, se la teologia di Lacuria può talvolta sembrare assumere la forma di una teosofia, di una decifrazione della signatura rerum, è sempre e solo lungo il percorso contemplativo di un mondo teofanico, in cui, peraltro, nulla di ciò che si riceve può essere altro che dato. Lacuria non fa altro che seguire l’Itinerarium a partire da una contemplazione della natura, dell’universo e dell’uomo creati da Dio 18; ricordiamo qui che l’Itinerarium propone sette capitoli di pura contemplazione, prima di un esito che non è altro che un “rapimento spirituale e mistico”. Inoltre, se Lacuria non usa la parola “teosofia”, è perché siamo in questa teologia mistica che lui chiama filosofia.
Questo spiega perché Joseph Buche ha escluso Lacuria dalla sua École mystique de Lyon, con grande rammarico di Hector Talvart19: questo perché Les Harmonies de l’être non è altro che una meditazione metafisica sui misteri cristiani e una semplice apologetica cattolica.
Infine, che dire del suo pensiero politico e sociale in un secolo così segnato da ideologie di ogni tipo: sarebbe stato realista o socialista, avrebbe sostenuto un particolare millenarismo o, come molti, un apocalittismo? Cosa pensava della rivoluzione industriale, del progresso tecnico e della scomparsa dei poveri?
Anche in questo caso, Lacuria dimostra un’incredibile indipendenza di pensiero. La sua ricerca della sintesi “a tutti i costi” gli impedisce di chiudersi in qualsiasi sistema e gli impedisce di nascondersi dietro un “pensiero unico”; non può seguire le linee di nessuna caricatura, né rientrare in nessuna categoria. Leggere il secolo con gli occhi di Lacuria significa evitare ogni tentazione di riduzione, di semplificazione troppo facile, e scoprire la sottigliezza delle cose all’interno di una complessità rispettata. Così Lacuria trova qualità nella maggior parte delle idee altrui, seguendo la concezione pascaliana dell’errore come verità incompleta, pur rimanendo lui stesso sulla linea radicale dei principi metafisici classici e della dottrina cattolica. Per principi metafisici classici intendiamo essenzialmente le distinzioni tra finito e infinito e tra intelligenza e ragione.
Lacuria era un entusiasta sostenitore delle scoperte scientifiche, ma per lui il progresso era solo “una di quelle parole che servono da bandiera per l’utopia”20; mentre promuoveva una società più giusta, l’uguaglianza rimaneva per lui una “chimera impossibile e inutile”21. In economia, pur seguendo inconsapevolmente la distinzione aristotelica tra economia e crematistica, Lacuria concorda sul fatto che i ricchi e i poveri sono condannati a coesistere e che conta solo l’intelligenza di questa coesistenza. All’utopico progresso di “mangiare carne e bere vino” a ogni pasto, Lacuria risponde: “Non c’è nient’altro da desiderare? A Fourier, che “prometteva un tempo in cui avremmo avuto sei buoni pasti al giorno”, chiede: “Ma perché questo limite di sei?” E, di fronte all’assurdità di una società di ricchi, propone il seguente ragionamento per assurdo:
Supponiamo di raggiungere questo obiettivo [non avere più poveri], andiamo all’estremo, diciamo che tutti gli uomini siano ricchi, che siano tutti milionari! Perché fermarsi a un milione? Un milione è il limite ultimo del progresso indefinito? Non ci sono già molti che non si accontentano di un milione?
In politica, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, Lacuria non è un realista: “il potere, quando è legato a una finzione, dura solo finché la finzione stessa sussiste, così il potere reale dura solo finché dura la finzione che chiamiamo regalità”22; questo è quanto scriveva nelle sue Armonie, già nel 1847. Nel suo opuscolo sull’insegnamento, il suo verdetto è senza appello: “i re hanno stranamente abusato della legge divina, che era solo un riflesso della Chiesa e che essi prendevano per una luce che usciva da loro stessi” 23. Era segnato dalla Primavera dei Popoli: solo “ai popoli nella loro infanzia può corrispondere l’unione delle due potenze spirituali e materiali”, scriveva nel 184324. Inoltre, in uno dei suoi manoscritti, Lacuria difende la Repubblica dall’essere la causa della secolarizzazione: “Se dunque il popolo si allontana da Dio, la vera causa non è la Repubblica”25.
Tuttavia, non era più “repubblicano” che realista, né era veramente democratico (la dittatura del più numeroso, la chiamava, o il regno della maggioranza); si accontentava di affermare che l’autorità richiedeva l’infallibilità: “L’unità sociale può essere raggiunta solo in due modi: o con la forza, o con un’autorità la cui fonte è l’infallibilità. La forza esclude la libertà, l’infallibilità la ammette […]. La questione vitale è dunque quella dell’infallibilità”26. Così vedeva l’unità sociale nella parrocchia, con i vescovi eletti dai fedeli. È una dottrina tanto semplice quanto impraticabile, basata sul ragionamento irrefragabile di un credente: “La Chiesa sola”, scriveva, “ha forza e amore sufficienti per elevare l’umanità alla sua perfezione; […] essa sola detiene il segreto dell’ultima perfezione e può mettere il sigillo finale all’opera; essa è il capolavoro sociale del pensiero divino sulla terra”27, anche se “il cielo [solo] sarà l’apoteosi”28. Qui egli anticipa la dottrina sociale della Chiesa, del tutto compatibile con la separazione tra Chiesa e Stato di cui sostiene e dimostra la logica, già nel 1830, sulla scia di Lamennais e delle idee de L’Avenir; sappiamo che nel 1905 il matrimonio religioso e la nomina dei vescovi sono ancora sotto il controllo dello Stato nella Francia del XXI secolo. In ogni caso, possiamo capire perché egli rifiutasse sia il saint-simonismo che il fourierismo, ognuno dei quali cadeva nell’eccesso opposto: “l’uno spinge l’autorità all’infinito, l’altro la libertà all’infinito; entrambi sono [quindi] incompleti”29, scrive Lacuria in un lavoro inedito sul “Problème social”.
Se si deve parlare di apocalitticismo nel XIX secolo, Lacuria, che comunque scrisse il suo commento all’Apocalisse, non vi aderì in alcun modo e il suo millenarismo moderato, presentato esplicitamente come ipotesi, rimase nei limiti dell’accettabilità magisteriale e anticipò persino il decreto del Sant’Uffizio del 1944. Se la dottrina sociale di Lacuria può essere definita tale, non può essere equiparata al suo ipotetico millenarismo; non è né “rigenerazione sociale” né messianismo sociale.
Conclusione
La conclusione dello storico che studia la Chiesa cattolica nel XIX secolo è che Lacuria, per quanto riguarda la teologia, è “solo un testimone tra gli altri dell’avanzare graduale di una relativa uniformazione del pensiero cattolico”30; pensiamo piuttosto che Lacuria, su questo piano, testimoni la permanenza di una gnosi cristiana – gnosi in senso scritturale (paolino) – e di cui è un rappresentante esemplare, a parità di altre condizioni, nella linea dell’Areopagita o del Maestro Eckhart, anche se di genere diverso a causa del secolo XIX che abita; da qui, precedendo il cardinale de Lubac, le sue riflessioni sull’impossibilità di una reciproca esclusione dell’ordine naturale e di quello soprannaturale, il suo ontologismo ortodosso in un’epoca in cui veniva ancora insegnato a Lovanio o, semplicemente, la sua visione di una natura teofanica e di un mondo permeato dalla Provvidenza divina, senza che questo immanentismo metta in alcun modo in ombra l’assoluta trascendenza di Dio, che è molto esplicita in Lacuria.
Dal punto di vista filosofico, c’è un denominatore comune nell’opera apparentemente disparata di Lacuria (“sociologia razionale”, musicologia, etica, estetica, astrologia, ecc.), ed è la sua prospettiva metafisica sistematica, che nasce dalla sua legge fondamentale e universale dell’essere espressa dalla triplicità “del positivo e del negativo che producono armonia”, a sua volta direttamente ispirata alla sua meditazione sulla Trinità cristiana.
Con questo punto di riferimento fisso, Lacuria è il luogo ideale per ogni tipo di ricezione, dal socialismo e dalle utopie all’infallibilità, da Beethoven alla letteratura fiabesca, fino all’alchimia e all’astrologia. La sua indipendenza, rafforzata dall’ingenuità e dalla buona fede, lo rende quasi una pietra di paragone nella proliferazione di idee del suo secolo. In questo senso, egli è un ottimo controesempio a certe generalizzazioni storiche e riduzioni categoriche.
Lo stesso vale per discipline come l’astrologia, che tanto incuriosiva Lacuria, o la fisiognomica, la frenologia e persino l’alchimia, di cui raccolse tutte le opere. Ci sono voluti tutti questi interessi di Lacuria per stabilire una corrispondenza con il suo terzo nome di battesimo: Gaspard (il mago). Ma Lacuria non si allontanò mai dall’approccio sperimentale che si stava affermando nelle scienze del suo tempo. La sua medicina è pragmatica; la sua astrologia è essenzialmente caratterologica, stipulativa ma non predittiva; già nel 1844 scrive che la frenologia non può essere applicata all’uomo; quanto alla pietra filosofale, diventa addirittura “leggendaria” nell’edizione del 1899 delle Harmonies de l’être31
Per concludere filosoficamente, diciamo che il pensiero di Lacuria, qualunque sia il campo che attraversa – filosofia, teologia o scienza – non è mai idealista; al contrario, è sempre realista, anche se si tratta di un “realismo simbolico” basato sull'”analogia” dell’essere.32.
Note
- Conferenza Politica Hermetica di venerdì 10 aprile 2015, presso il Convento dell’Annunciazione, 222, rue du Faubourg-Saint- Honoré, 75008, Parigi.[↩]
- (Jean-Pierre) Louis (marchese) de Fontanes (1757-1821), primo Gran Maestro dell’Università sotto l’Impero e Ministro della Pubblica Istruzione sotto la Restaurazione.[↩]
- “C’è un solo modo sicuro di regolare i sentimenti e la morale, ed è quello di metterli sotto il controllo della religione. Non basta che la religione faccia parte dell’insegnamento; deve essere l’anima di tutta l’educazione”, cfr. Circolare ai rettori, giugno 1814, citata da Cholvy Gérard, Hilaire Yves-Marie (a cura di), Histoire religieuse de la France, 1800-1880, Toulouse: éd. Privat, 2000, p. 22. Questo testo, “che i suoi successori Frayssinous, Guizot e Falloux non rinnegheranno” (ibid.).[↩]
- Thiollier Félix, Le Forez pittoresque et monumental, 1889, pag. 436.[↩]
- Mas Gabriel, Le cardinal de Bonald et la question du travail (1840-1870), tesi di laurea in storia presso l’Université Lumière Lyon 2, 2007, 1a parte, cap. IV, III.1). Che tipo di formazione per i seminaristi e il clero?[↩]
- “Mio padre avrebbe voluto mandarci al collegio, ma era troppo costoso. “Si nous les envoyions dans une manécanterie? dit Mme Eyssette […] comme St-Nizier était l’église la plus proche, on nous envoya à la manécanterie de St-Nizier“; Daudet Alphonse, Le petit Chose : histoire d’un enfant, Paris: J. Hetzel, 1868 (4e éd.), p. 20. È stato molto divertente, la manécanterie! Invece di riempirci la testa di greco e latino come in altre istituzioni, ci hanno insegnato a servire la Messa da davanti e da dietro, a cantare le antifone, a genuflettere, a incensare elegantemente, cosa molto difficile” (ibid.).[↩]
- L’edizione del 1847: Les Harmonies de l’être, exprimées par les nombres ou les lois de l’ontologie, de la psychologie, de l’éthique, de l’esthétique et de la physique, expliquées les unes par les autres et ramenées à un seul principe (by P. F.G. LACURIA), tome I corrigé et tome II, Paris: Comptoir des imprimeurs-unis, 1847; quella del 1899: Les Harmonies de l’être exprimées par les nombres, édition nouvelle publiée par les soins de René PHILIPON, Paris: Bibliothèque Chacornac, 1899, 2 vols.[↩]
- Boutry Philippe, “‘Vertus d’état’ et clergé intellectuel : la crise du modèle ”sulpicien” dans la formation des prêtres français au XIXe siècle, Problèmes de l’histoire de l’éducation, Actes des séminaires organisés par l’École française de Rome et l’Università di Roma – la Sapienza (janvier-mai 1985), Roma: École Française de Rome, 1988. pp. 207-228. (Publications de l’École française de Rome, 104); URL: /web/ouvrages /home/prescript/article/efr_0000-0000_1988_act_104_1_3272, consultato il 19 marzo 2015.[↩]
- Lettera di Lacuria a Basset, 1828/1829.[↩]
- “Pur avendo il dono della profezia, conoscendo tutti i misteri e possedendo ogni scienza; pur avendo ogni fede, fino a spostare le montagne, se non ho la carità, non sono nulla”; 1 Corinzi XIII, 2[↩]
- Borel, Chenavard, Janmot, Ricard, Laurens, Guiguet, Courbe, Baron, Français, Daubigny, Nanteuil, ecc.[↩]
- Charvériat, Charles Blanc, Victor Fournel, Louis Peisse…[↩]
- “È stato infatti cinquant’anni fa che ho detto la mia prima Messa allo Château du Perron. Quanti ringraziamenti devo a Dio per il prolungamento così lungo di una dignità infinita, quante scuse mi servono per l’esercizio difettoso di una funzione di cui gli angeli non sono degni”; Lettera di Lacuria a Paul Borel, Parigi, 20 giugno [1886]; Archives des Dominicains, Tolosa[↩]
- De Rayssac, Journal, gennaio 1876; Hardouin-Fugier Élisabeth, “L’abbé Lacuria, portraits et images”, Atlantis n. 314, maggio-giugno 1981, p. 342. Enfasi aggiunta[↩]
- Pisani Paul, Patronage Sainte-Mélanie: souvenirs de famille, 1850-1900, Paris: J. Mersch, 1900, pp. 6, 17-18.[↩]
- Sant’Ireneo, Contra Haereses IV, praefatio, P.G., vol. VII, col. 975 B.[↩]
- che, seguendo l’Areopagita, scavalca e completa il percorso teologico; Cfr. Borella, Lumières de la théologie mystique (Losanna: L’Âge d’Homme, 2002).[↩]
- I sette capitoli dell’itinerarium conducono attraverso diverse contemplazioni (capp. da I a VI) al “rapimento spirituale e mistico” (cap. VII).[↩]
- Talvart [1880-1959], “La semaine bibliographique analytique et critique” [sulla pubblicazione de L’École mystique de Lyon, 1776-1847 Le Grand Ampère, Ballanche, Cl. Julien Bredin, Victor de Laprade, Blanc de Saint-Bonnet, Paul Chenavard (prefazione di M. Edouard Herriot, Alcan, 1935), a cura di Joseph Buche], Les Nouvelles littéraires, artistiques et scientifiques : hebdomadaire d’information, de critique et de bibliographie, Paris : Larousse, 12e année, n° 635, 15 déc. 1934, 9.[↩]
- Lacuria, Harmonies (1899), t. II, cap. II. II, cap. II. Du progrès, pp. 17-18.[↩]
- Lacuria, “La Voie unique”, p. 19 [B.M.L. Ms 5.943 C]; Archives Untereiner.[↩]
- Lacuria, Harmonies (1847), t. I, cap. XXII. De la spontanéité et de la liberté, p. 358.[↩]
- Lacuria, De l’Église, de l’État et de l’enseignement, Lyon: L. Boitel, 1847, pp. 15-16.[↩]
- Bozza di lettera indirizzata al direttore di un giornale (non identificato), in reazione a un articolo pubblicato su educazione e libertà, a proposito della legge Villemain; Archivio “Untereiner”.[↩]
- Conclusione del suo opuscolo: “Sur la foi et la république”, Fonds Bernard Berthet, 14 pagine.[↩]
- Lacuria, “De L’Infaillibilité, par M. Blanc Saint-Bonnet, chez Dentu”, in “Bulletin bibliographique”, Revue européenne. Lettres, sciences, arts, voyages, politique, Paris: [s.n.?], t. 15, 1861, pp. 1-2 [B.M.L. Ms 5.791, p. 12]; Archives Untereiner[↩]
- Lacuria, Harmonie (1847), t. II, p. 299). II, p. 299.[↩]
- Lacuria, Harmonies (1847), t. II, p. 299.[↩]
- Lacuria, “Problème social”, p. 20 [B.M.L. Ms 5.844 C]; Archives Untereiner.[↩]
- Cfr. Paul Airiau, “Rapport de soutenance de la thèse de doctorat de M. Bruno Bérard, Un philosophe et théologien occultisant au XIXe siècle : la vie et l’œuvre de l’abbé Paul François Gaspard Lacuria (1806-1890), EPHE, ss dir. Jean-Pierre Brach, 2014. 1392 p. in 2 voll. note, bibliografia, indice, tblx, ill, allegati”. [↩]
- Lacuria, Harmonies (1899), t. II, cap. XIII. De l’art vivant, 216.[↩]
- Secondo la formula e la tesi di Jean Borella, spiegata nel suo Symbolisme et réalité (Ginevra: Ad Solem, 1997). Per la precisione: “Il significato richiede l’analogia” (Penser l’analogie, Paris: ad solem, 2000, p. 210), “l’analogia è il significato del simbolo” (ibidem, p. 209) e “il simbolo è la chiave dell’ontologia” (Symbolisme et Réalité, p. 33); così, “l’ontologia è fondamentalmente analogica […perché] ancor più che analogica, l’essere si rivela analogico” (Penser l’analogie, p. 127).[↩]