Introduzione

Nel suo Ésotérisme guénonien et mystère chrétien1 (Esoterismo guénoniano e mistero cristiano), Jean Borella si propone di risolvere tre questioni: in primo luogo, mostrare che, nonostante il suo fondamentale contributo alla codificazione dell’esoterismo, la definizione di esoterismo di Guénon soffre di alcuni limiti; in secondo luogo, indicare come questi limiti squalifichino l’applicazione della definizione guénoniana, in particolare al caso del cristianesimo; in terzo luogo, presentare il cristianesimo sotto la sua luce, cioè indipendentemente dagli schemi guénoniani, in modo da rivelarne la particolare essenza.

Questo articolo, esclusivamente, intende dare una panoramica del lavoro di Jean Borella su questa questione, a partire dal suo essenziale richiamo ad alcune definizioni.

Esoterismo, metafisica, gnosi

Mentre l’aggettivo “esoterico” esiste fin dall’antichità greca, il sostantivo “esoterismo” ha le sue recenti e dubbie origini nella nebulosa ideologica del romanticismo socialista che ha ispirato la rivoluzione del 1848. Se il successo del sostantivo tradisce soprattutto la perdita della conoscenza intuitiva (“è bello!”), a favore della ricerca della sicurezza della conoscenza razionale (“che cos’è la bellezza?”), esso deve comunque essere definito.

L’etimologia dell’aggettivo greco “esôterikos” fornisce una definizione approssimativa. “Esoterico” significa “che porta verso l’interno” (esô) “più di” (ter); è quindi un comparativo di superiorità che indica un movimento (non può essere né fisso né assoluto), verso l’interno (al di là delle apparenze) e relativo al suo opposto “exoterico” (“più esterno di”). In altre parole, non ci può essere esoterismo senza esoterismo, senza il supporto di una tradizione, senza apparenze oltre le quali condurre. Di conseguenza, non può esistere un esoterismo assoluto, puro, spogliato di ogni forma e libero da ogni rivelazione (come avrebbe voluto Hegel, per esempio).

Se l’esoterismo, come l’exoterismo, appartiene al sacro, entrambi rimangono al di sotto del livello del “sapere”. Infatti, mentre la gnosi identifica il sapere con il conosciuto, l’esoterismo e l’esoterismo corrispondono solo al percorso che alla fine conduce ad esso. Entrambi rientrano quindi nella categoria generale dell’ermeneutica: l’arte dell’interpretazione e della spiegazione.

Se l’esoterismo e l’esoterismo sono intenzioni ermeneutiche più o meno penetranti del significato profondo della tradizione, allora entrambi rivendicano una rivelazione da interpretare, comprendere e commentare. La stessa metafisica più pura non sarà mai altro che l’ultimo grado dell’ermeneutica speculativa. Quindi, rispetto alla semanticità di tutte le esperienze ermeneutiche, solo la gnosi, rompendo con qualsiasi prospettiva ermeneutica, potrebbe raggiungere una modalità non ontologica di relazione con il suo oggetto.

In termini molto concreti, ciò conferma che non può esistere né un esoterismo assoluto – a meno che non venga confuso con la gnosi – né un esoterismo istituzionalizzato – che quindi non sarebbe più in movimento, anche se particolari istituzioni possono avere caratteristiche più particolarmente esoteriche (taoismo, sufismo) o exoteriche (confucianesimo).

Poiché tutto ciò che è manifesto non è mai del tutto presente, poiché la sua radice invisibile, la sua causa e la sua fonte rimangono sempre immanifestate, possiamo dire che l’esoterismo rivela che c’è un immanifestato, e quindi che c’è un velamento. Ben diversa è invece la dottrina metafisica pura, il cui linguaggio, fatto dei concetti e dei principi più astratti e delle sequenze più logiche, è trasparente. Infatti, nella misura in cui la metafisica utilizza il linguaggio stesso dell’intelligenza, l’atto di intellezione diventa un tutt’uno con l’intelligenza stessa. In questo senso, il discorso metafisico è il limite dell’ermeneutica ultima; è l’ultimo interprete e non può essere interpretato a sua volta da un linguaggio più trasparente. Inoltre, nella sua posizione ultima, il linguaggio metafisico può indicare il suo superamento esoterico solo suggerendo la propria cancellazione, con un’apofatica non formale ma totale, che attua dialetticamente la sua “auto-abolizione” (Guy Bugault, Les Etudes philosophiques, Oct-Dec. 1983, p. 400). “Beate le intelligenze che sanno chiudere gli occhi”, come già indicava San Dionigi l’Areopagita.

Poiché l’intelligenza parla il suo linguaggio, il linguaggio della sua natura, si occuperà naturalmente anche di cose soprannaturali. Ma se è “di casa” in tutti questi ambiti, è perché non è naturalmente da nessuna parte (“l’intelletto entra dalla porta” o “da fuori”, dice Aristotele (Sulla generazione degli animali, II 3, 736 a, 27-b 12). Da qui, ancora una volta, la morte del discorso a cui la vera metafisica necessariamente conduce. Ma a questo sacrificium intellectus, a questo annientamento volontario dell’intelligenza stessa, a questa rinuncia ultima, risponde la resurrezione; alla rinuncia alla vanità della propria luce risponde l’ingresso nelle “Tenebre più che luminose” (San Dionigi l’Areopagita).

I limiti della definizione guénoniana di esoterismo

La definizione di esoterismo stabilita dal metafisico francese René Guénon (1886-1951) nell’ambito della sua codificazione dell’esoterismo ha sì il vantaggio di separare la metafisica tradizionale dalle sue contraffazioni – in particolare gnosticismo, spiritismo, occultismo, teosofismo, ecc. – ma sembra soffrire di una serie di difetti. In particolare, tende a standardizzare, in tutte le tradizioni, lo schema obbligatorio dell’esoterismo istituzionalizzato: organizzazione formale e proprio rito iniziatico, in particolare, ed elitario (chiuso ai grandi numeri e ai bambini), in mancanza dei quali la tradizione in questione è ritenuta priva di dimensione esoterica, o addirittura degenerata.

Potremmo già chiederci se le organizzazioni esoteriche definite tali da Guénon siano conformi alla sua stessa definizione. A parte la scuola aristotelica dell’antichità e alcune società moderne (alla fine del XIX e del XX secolo) di dubbia validità, nessuna organizzazione si è mai definita esoterica; quanto a quelle scomparse, come i Fedeli d’Amore, i Cavalieri Templari o i Rosacroce (“andati in Oriente” nel 1648), per esempio, non possono ovviamente portare testimonianza.

In secondo luogo, nel mondo cristiano, nonostante alcuni eminenti massoni, la maggior parte delle obbedienze massoniche ha rotto con lo spirito della massoneria medievale, e il Compagnonaggio è senza dubbio all’oscuro della dottrina di Guénon. Ci sono poi gli ordini cavallereschi, di cui solo la Fraternité des Chevaliers du divin Paraclet (Fratellanza dei Cavalieri del Divino Paracleto), nella persona di Louis Charbonneau-Lassay, ha parzialmente accettato la definizione guénoniana, e le organizzazioni ermetiste, di cui non si sa nulla.

Inoltre, nel mondo non cristiano e tra pochi esempi limitati, solo il sufismo sembra avere il carattere “amministrativo” richiesto, anche se la sua iniziazione essendo aperta a tutti (M. Lings, Un Saint musulman au XX° siècle – “un santo musulmano nel XX secolo” -, Ed. Traditionnelles, 1967, p. 121), non è conforme. Questo è anche il caso dei culti misterici greci, oggi più conosciuti, che coinvolgevano grandi folle e bambini.

Infine, va notato che il modello che rivendica la necessità di un’istituzione esoterica ha portato Guénon a ignorare il cristianesimo, fino a presentare come aspetto esoterico la cristianizzazione della cavalleria di origine celtica e il Roman de la rose, a scapito della rivelazione di Cristo o di opere antiche e importanti come la Teologia mistica di San Dionigi l’Areopagita.

Se nel cristianesimo, come in ogni tradizione degna di questo nome, esistono aspetti di vero essoterismo e di vero esoterismo – cosa che Guénon non nega -, nella Chiesa cattolica non esiste in ogni caso un esoterismo formale o un esoterismo istituito. E questa assenza è persino coerente con ciò che il cristianesimo è essenzialmente, come vedremo più avanti.

Confutazione diretta delle tesi di Guénon sul cristianesimo

In breve, Guénon indica che la maggior parte delle forme tradizionali, comprese le religioni, hanno due facce: quella esteriore, dove un insegnamento exoterico rivolto all’individuo, completato da riti religiosi (che comunicano un’influenza spirituale di origine non umana), gli permette, attraverso la realizzazione delle verità trasmesse, di ottenere la salvezza, cioè di sperimentare la perfezione dello stato umano dopo la morte; e quella interiore, dove l’insegnamento esoterico, integrato da riti iniziatici che si rivolgono agli stati superiori dell’essere (comunicando anch’essi un’influenza spirituale di origine non umana), permette all’adepto, da questo mondo, di accedere agli stati superiori (angelici) o addirittura allo stato divino incondizionato: la liberazione.

Sulla base di questo modello, Guénon vede il cristianesimo originariamente come un esoterismo ebraico (simile a quello degli Esseni) i cui riti iniziatici (battesimo, eucaristia, ecc.), amministrati da un’élite e trasmessi in segreto, si aggiungevano ai riti religiosi ebraici (circoncisione, ecc.). A un certo punto (noto solo prima del IV secolo), per salvare il mondo greco-romano dalla decadenza spirituale pagana, l’organizzazione esoterica cristiana decise di portare tutti i suoi riti al livello exoterico, mantenendone i nomi e le forme, anche se ciò significava creare altri riti iniziatici ormai “praticamente inaccessibili” (René Guénon, Aperçus sur l’ésotérisme chrétienSaggi sull’esoterismo cristiano –, p. 24, nota 1).

Il cristianesimo non è esoterismo ebraico

In effetti, fin dall’inizio, il cristianesimo è stato universale; non può quindi essere un esoterismo ebraico, che non può essere sviluppato al di fuori del quadro exoterico della religione ebraica. Questo schieramento precede persino San Paolo: i Magi, la “Pentecoste dei Gentili” (Atti X, 44-46) dove il dono dello Spirito Santo viene riversato anche sui Gentili. Fin dall’inizio, “non c’è più distinzione tra Giudei e Greci” (Rm X, 12). Inoltre, il fatto che si trattasse di una nuova religione e non di esoterismo ebraico è stato attestato in un momento solenne della vita di Cristo, il Giovedì Santo, quando è stato istituito il rito fondante del cristianesimo: “questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue versato per voi” (Luca XXII, 20; 1 Cor. XI, 25). Non dobbiamo dimenticare che il termine stesso “cristiano” (christianos) è presente già negli Atti degli Apostoli (XI, 26) e “cristianesimo” (christianismos) in uso prima della fine del I secolo. Il termine è addirittura specificamente contrapposto a quello di “giudaismo” (cfr. lettera di sant’Ignazio di Antiochia ai cristiani della Chiesa di Magnesia; Magn., X, 1 e 3).

La dogmatica cristiana non è una presentazione exoterica della dottrina

Guénon indica che il segno del (presunto) abbassamento exoterico dei sacramenti dell’iniziazione cristiana si trova nella (sempre presunta) novità del Concilio di Nicea (nel 325), che inaugura “l’epoca delle formulazioni ‘dogmatiche’ destinate a costituire una presentazione puramente exoterica della dottrina”(René Guénon, Aperçus sur l’ésotérisme chrétien, pp. 14-15). Ma non c’è nulla di nuovo nella dottrina nicena: una “regola di fede” fondamentalmente trinitaria è attestata in modo inconfutabile fin dalla fine del I secolo (Cfr. Henri Lassiat, La jeunesse de l’Église : la foi au II° siècle, Mame, 1979) ed è comune alle Chiese stabilite in Germania, in Iberia, tra i Celti, in Oriente, in Egitto e in Libia (Cfr. Sant’Ireneo, Contre les hérésiesContro le eresie –, trans. A. Rousseau, Cerf, 1984, p. 66)… Senza contare che viene direttamente dalle Scritture: “Insegnate alle nazioni e battezzatele nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. XXVIII, 19). Inoltre, con la sua decisione di approvare la nozione di consustanzialità delle persone trinitarie, il Concilio di Nicea, contrariamente a qualsiasi tipo di esteriorizzazione, “invitava l’intelligenza teologica a un’esaltazione speculativa senza precedenti […], a una ‘trasposizione metafisica’ del concetto di sostanza (ousia) in linea con il suo significato più ontologico, e persino sovra-ontologico”. Infine, quando Guénon aggiunge che non si è mai tentato di “dare la minima spiegazione” (René Guénon, Aperçus sur l’ésotérisme chrétien, p. 18) alle formulazioni dogmatiche, non fa altro che negare il lavoro bimillenario di teologi, Padri della Chiesa, dottori e geni spirituali che si sono succeduti.

I riti cristiani non sono né un’esteriorizzazione tardiva, né quindi una falsa iniziazione

Un rito”, dice Guénon, “che viene conferito a bambini nascenti, e senza preoccuparsi di determinare le loro qualifiche con qualsiasi mezzo, non può avere il carattere e il valore di un’iniziazione” (Ibidem, pp. 20-21). Da un lato, seguirlo significherebbe rinnegare le Scritture: “Lasciate che i bambini piccoli vengano a me e non impediteli più” (Lc XVIII, 16); “Guardate di non disprezzare nessuno di questi piccoli…” (Mt XVIII, 10)… e, in particolare, il battesimo amministrato il giorno di Pentecoste a una folla di tremila persone, compresi i bambini (cfr. At II, 37-41). Sapendo che, fin dall’inizio della Chiesa, i sacramenti (battesimo, eucaristia, ecc.) sono stati distinti dai sacramentali (preghiera, invocazione del Nome di Gesù, segno di croce, benedizioni, candele, lettura liturgica, consacrazione monastica, ecc.), avrebbe avuto tutte le possibilità di fare una distinzione tra riti exoterici e riti esoterici, se fosse stato nell’ordine del cristianesimo creare o mantenere tale separazione.

L’ordine sacramentale è infatti incorruttibile e nessuno, nemmeno la Chiesa, può modificarlo

Se la Chiesa volesse modificare l’essenza del sacerdozio cristico e determinare il sacramento per produrre solo effetti exoterici, anche per salvare spiritualmente l’antico paganesimo (secondo Guénon), non potrebbe farlo. In realtà, questa curiosa teoria guénoniana è esclusa in partenza, poiché la grazia è ciò che Gesù Cristo stesso vuole comunicare istituendo il sacramento destinato a produrla – è il suo sacerdozio eterno “secondo l’ordine di Melchisedec” (Il sacerdozio melchisedecano di Cristo comprende tre funzioni: Quella di Re – configurata dal carattere battesimale, “sacerdozio regale” – 1 Pietro II, 5-9-, quella di Profeta – configurata dal carattere crismatico – l’unzione con il crisma della confermazione – e quella di Sommo Sacerdote – configurata dal carattere dell’ordine). La grazia sacramentale è dunque immutabile per natura e quindi sempre comunicata all’essere che la riceve, purché egli stesso non la ostacoli. “La grazia santificante non può essere maggiore o minore, poiché, secondo la sua stessa essenza, unisce l’uomo al Bene sovrano, che è Dio”; è quindi suscettibile di variazioni solo in relazione al soggetto in cui risiede (San Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q.112, a.4).

E i sacramenti cristiani – detti “religiosi” (Guénon) – richiedono validità e qualificazione da parte di chi li riceve. Dato che Cristo stesso ha istituito i sacramenti (se non altro il battesimo e l’Eucaristia, come riconoscono i protestanti) e che nessuna Chiesa cristiana si riconosce il potere di istituirne di nuovi, né la Chiesa né il suo ministro hanno quindi alcun potere sulla grazia che conferiscono – possono solo amministrarla o meno. Non resta, sempre seguendo Guénon, che dubitare della loro validità. Ora, “nell’amministrazione dei sacramenti, la Chiesa ha sempre avuto il potere di decidere o di modificare, salvaguardando la sostanza di questi sacramenti, ciò che avrebbe giudicato più opportuno per l’utilità di coloro che li ricevono o per il rispetto dei sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi” (Concilio di Trento, sessione XXI, cap. II; Les Concils œcuméniques : Les décrets, Cerf, 1994, t. II, p. 1477).

Inoltre, tutto ciò che si richiede al ministro è l’intenzione o la volontà oggettiva di compiere ciò che il sacramento oggettivamente significa; può quindi aver perso la fede, purché si affidi oggettivamente alla fede della Chiesa: fides Ecclesiae supplet (la fede della Chiesa integra). Per quanto riguarda la disposizione intenzionale appropriata del destinatario, non possiamo sostenere, con Guénon, che i riti religiosi non richiedano qualifiche; se queste qualifiche riguardano capacità fisiche o psichiche, è vero, nessuno è escluso dalla grazia di Cristo; al contrario, egli è venuto per gli orbi, gli zoppi, i gobbi, i ciechi, i paralitici… : “È bene che entriate nella Vita zoppi piuttosto che con tutti e due i piedi siate gettati nella Gehenna” (Mc IX, 45); ma se per qualifiche intendiamo le disposizioni del cuore e del corpo richieste per la ricezione di un sacramento (esse variano a seconda del sacramento), allora, senza eccezioni, tutti richiedono qualifiche senza le quali saranno infruttuosi, anche se la grazia sacramentale è stata effettivamente conferita.

Infine, la stessa modalità operativa dei sacramenti esclude qualsiasi cambiamento essenziale nella natura della grazia sacramentale

Avendo negato il valore iniziatico dei sacramenti, a Guénon non resta che negarne l’operatività, cioè ex opere operato (“in virtù dell’opera compiuta”) – in contrapposizione a ex opere operantis (“in virtù dell’opera dell’esecutore” o “in virtù di colui che esegue”). Ora, questo ex opere operato significa proprio che l’operante non è la causa della grazia sacramentale, ma che il sacramento agisce solo in virtù dell’atto sacramentale compiuto, anche se, ovviamente, sono gli sforzi di chi coopera alla grazia a permetterne la fruttificazione. Di conseguenza, non sono né la santità del ministro, né la santificazione (anche nel caso di doni o carismi spettacolari) a garantire la presenza della grazia, realtà invisibile. Il significato o la verità degli atti sacramentali è determinato dalla volontà stessa di Dio che li ha istituiti: finché le condizioni di validità sono soddisfatte, la verità del sacramento si realizza solo in virtù del suo adempimento.

Secondo questa logica, se la grazia è soprannaturale – cosa che nessuno nega – il sacramento ex opere operato, validamente compiuto, non può essere in alcun modo magico – come hanno sostenuto Lutero e alcuni teologi protestanti. Inoltre, questo ci porta a vedere il cristianesimo come una religione essenzialmente sacramentale. Guénon, pur collocando i sacramenti nella categoria generale dei riti, avrebbe potuto evitare l’enorme amalgama, poiché riconosceva che la parola “sacramento” designa qualcosa per cui non si può trovare un equivalente esatto altrove (René Guénon, Aperçus sur l’initiationSaggi sull’iniziazione –, p. 41). Da qui, però, riduce sconsideratamente i sacramenti cristiani a riti di aggregazione (o integrazione) in una comunità tradizionale (Ibidem, p. 159), mentre la dottrina sacramentale della tradizione cristiana si concentra sul Corpo di Cristo e sulla grazia, e può sviluppare una teologia dell’operazione divina nell’azione sacramentale, senza equivalenti!

Ecco perché lo squarcio del velo del Tempio significa, nel cristianesimo, l’abolizione di una separazione formale tra esoterismo ed esoterismo

Infatti, lo squarcio del velo del Tempio alla morte di Cristo rivela il mistero precedentemente nascosto, segna il passaggio dal culto esterno a quello interno e conduce al nuovo sacrificio in cui sacerdote e vittima diventano una cosa sola. In questo senso, anche se 2000 anni di storia tendono a confondere le parole, l’Eucaristia, in cui Dio muore, risorge e si dona nell’Eucaristia, è il tipo perfetto di mistero sacro portato alla luce. Significa quindi, direttamente, l’abolizione di una separazione formale, nel cristianesimo, tra esoterismo ed exoterismo.

Il fatto che nel Tempio ci siano due veli, uno esterno che separa la corte dal Santo (il masak) e uno interno che separa il Santo dal Santo dei Santi (il paroketh), non cambia nulla. È la prima, fatta a pezzi, che rivela e mostra alla moltitudine l’esoterismo in quanto tale. Il secondo, quello dei misteri ultimi, scompare solo con la realizzazione suprema, quella della deificazione. “Perciò il velo più esterno fu squarciato e l’altro no, a significare che, nella morte di Cristo, i misteri relativi alla Chiesa divennero manifesti; ma l’altro velo non fu squarciato, perché i misteri celesti sono ancora velati”. Questo secondo velo (2 Cor. III, 16) sarà tolto alla fine dei tempi, alla Parousia, secondo l’anticipazione profetica che è la Nuova Alleanza (lacerazione del primo velo, S. Thomae Aquinitatis in evangelia S. Matthaei et S. Joannis commentaria, t. I, ed. II, Taurinensis, Eq. Petri Marietti, Roma, 1912, c. XXVII, p. 391).

Si tratta infatti della morte di Cristo e non dello squarcio del velo che l’accompagna. Questa morte è il corpo dato per voi (to sôma mou to hyper hymôn didomenon), il corpo stesso della rivelazione, quindi la rivelazione fatta corpo. Inoltre, questo corpo è dissanguato fino alla morte e il sangue, versato “per voi e per molti”, simboleggia i misteri iniziatici, donati a tutti. L’unica cosa che resta da compiere è la Parousia annunciata: la Presenza totale e universale del Verbo divino in ogni creatura e di ogni creatura nel Verbo divino.

La natura della religione cristiana è quindi quella di anticipare e manifestare la cancellazione della separazione formale tra i due domini dell’exoterismo e dell’esoterismo.

Conclusione

Non resta che esortare il lettore alla lettura del libro di Jean Borella, soprattutto l’ultima parte dove si trova una confutazione indiretta delle tesi guénoniane relative al cristianesimo. Lì il cristianesimo viene situato nel suo luogo ermeneutico, ovvero nel modo di espressione di cui il revelatum si è rivestito per manifestarsi, determinando così anche il modo in cui esso può essere compreso. È l’Oggetto rivelato stesso, infatti, ad arricchire lo specchio intellettivo consegnandogli le chiavi della propria intelligibilità.

Questa presentazione del cristianesimo inizia con la collocazione del mistero cristiano in rapporto ai contesti culturali ebraico ed ellenistico e alla possibile esistenza di “tradizioni segrete”; poi viene ricordato l’insegnamento tradizionale della Chiesa sui tre riti dell’iniziazione cristiana in rapporto alla “disciplina dell’arcano”; infine, si caratterizza la natura del cammino mistico, mostrando che si tratta di un cammino spirituale integrale.

Borella dimostra così che il cristianesimo è, in sostanza, un “sacramentalismo” e che dal mistero teologico (greco mystèrion) si passi al mistero dell’economia sacramentale (latino sacramentum), quest’ultimo essendo circondato dalla disciplina dell’arcano di origine apostolica. Si comprende allora la ragione per la quale il battesimo e l’eucaristia cristiani non sono né un rimaneggiamento né un’imitazione delle liturgie misteriche, né una gnosi ricalcata sul modello dell'”apocalittica (ebraica)”. Si scopre la dottrina dei tre gradi di conoscenza e il segreto origeniano e si ricorda come, nel cristianesimo, l’esoterismo dottrinale, in cui rientra anche l’idea della deificazione, sia offerto a tutti e come i magisteri dottrinale ed ecclesiale formino una complementarità gerarchica (l’esoterismo sacramentale cristiano è quello di tutta la Chiesa).

Infine, si vede come “mistica” ed “esoterica” siano sinonimi in Cristo, come “mistica” e “contemplazione” siano una cosa sola già nei Padri della Chiesa – chiamando l’intelligenza all’esaltazione di se stessa – e come la teologia diventi mistica, che non vuol dire “misticismo”, né si riduce alla morale o allo psicologico. In una parola, si vede come la mistica cristiana sia superiore alla “demiurgia iniziatica” di Guénon, soprattutto quando questi si esprime in modo fondamentalmente prometeico quasi in termini di “leggi scientifiche positive” o di “manipolazione delle influenze spirituali”, essendo questa demiurgia tecnico-scientifica radicalmente opposta allo Spirito che soffia dove vuole e non si lascia “manipolare” da nessuno.

Note

  1. L’Âge d’Homme, coll. Delphica, 1997.[]