Aldo La Fata (1964), esoterologo ed editore italiano.
Questo articolo è apparso su Arthos, Genova, n. 31, 2023, pp. 80-92 e su Il Corriere Metapolitico, Anno VII, n. 21, 21 dicembre 2023, pp. 32-50.
A Silvano Panunzio chi scrive ha dedicato un’opera biografica apparsa nel 2021 per i tipi della casa editrice “Tabula fati” di Marco Solfanelli((Aldo La Fata, Silvano Panunzio. Vita e pensiero, Edizioni Solfanelli, Chieti 2021.)). In essa solo qualche pagina è dedicata alla prospettiva metapolitica del celebre scrittore tradizionale, ma molto restava ancora da dire. Approfittando della gentile ospitalità della redazione di questa storica rivista e del suo insigne Direttore, cercherò pertanto di colmare nei limiti dello spazio concessomi questa lacuna, dilungandomi su aspetti del discorso solitamente trascurati.
- Introduzione
- Area teologico-giurisprudenziale.
- Area filosofico-giurisprudenziale.
- Area filosofico-politica.
- Area filosofica in senso stretto.
- Area messianico-utopistica.
- Area spirituale o mistico-politica
- Area sociologico-politica o politico-sociologica
- Area metafisico-politica.
- Area escatologica-profetica.
- Conclusioni
- Note
Introduzione
Il termine “metapolitica” (tedesco: metapolitik, inglese: metapolitics, francese: metapolitique, spagnolo: metapolítica), dal greco “tà metà tà politikà”, significa letteralmente: “ciò che sta al di là della politica”. Nato per gemmazione dalla preesistente e più famosa e rinomata parola “metafisica”, per quanto se ne sa, fu usato per la prima volta in ambiente cristiano dal monaco cistercense Juan Caramuel Lobkowitz nel 16501. In seguito col passaggio ad ambienti laici, estranei alla fede e di estrazione illuminista, il termine finì col designare o una particolare concezione e teoria della politica o il fondamento comune su cui tutte le teorie politiche potevano e dovevano fondarsi.
In verità, la parola non incontrò molta fortuna e il suo uso raro spiega le differenti caratterizzazioni e varietà di significati che nel tempo le sono stati attribuiti. Chi scrive ha individuato nove aree principali di applicazione: 1° quella teologico-giurisprudenziale; 2° quella filosofico-giurisprudenziale; 3° quella filosofico-politica; 4° quella filosofica in senso stretto: 5° quella messianico-utopistica; 6° quella spirituale o mistico-politica; 7° quella sociologico-politica o politico-sociologica; 8° quella metafisico-politica; 9° quella escatologico-profetica. Fermo restando che per ciascuna area individuata possono darsi ulteriori suddivisioni e diramazioni di significato, con sfumature e accentuazioni diverse. Vediamo.
Area teologico-giurisprudenziale.
Lo studioso che ha rappresentato questo punto di vista è stato il monaco di origine spagnola Caramuel Lobkowitz nella sua opera scritta in latino Metapolitica hoc est Tractatus de Repubblica Philosophice Considerata (1650). In essa, il religioso definiva la civitas “un uomo mistico magno” e l’uomo “un pólisma, ovvero, una piccola civitas mistica”. Qui si intersecano almeno tre concetti di città: quello greco di pólis, quello romano-latino di civitas e quello cristiano-romano di Ecclesiam. Pólis dunque, non solo come luogo fisico delimitato da mura, ma come comunità vivente di polítes,ovvero di cittadini; civitas come status giuridico dalla cittadinanza2; Ecclesiam non solo come “comunità di fedeli che professano la loro fede in Gesù Cristo”, ma anche come “societas perfecta”, come riflesso in terra dell’agostiniana civitas dei e dell’apocalittica Gerusalemme celeste.
La Metapolitica qui diventa una specie di “teodicea del diritto”, una “iurisprudentia universalis” i cui soggetti di diritto sono le persone animate e governate dallo spirito divino.
Si tenga presente che tutto questo discorso mirava, almeno nelle sue nobili intenzioni, a difendere l’istituzione ecclesiastica e l’autorità papale dai sempre più violenti attacchi dei riformatori protestanti da lui definiti “i ribelli del Nord”. Quindi, possiamo dire che la Metapolitica nel suo primissimo esordio, non nasce come una nuova disciplina teologica, ma come una voce che si aggiunge al lessico del diritto canonico e nell’ambito di una “reazione teologica” alle trasformazioni in atto nella società e nella Chiesa. E non è certo un caso che nello stesso torno di tempo venisse coniata la più fortunata parola “secolarizzazione”3 a rappresentare quella sempre più netta separazione tra istituzioni religiose e istituzioni politiche che avrebbe portato al declino delle credenze e delle pratiche religiose e al definitivo confinamento della fede nella sfera privata.
Area filosofico-giurisprudenziale.
Siamo ormai nel Settecento avanzato ed è trascorso quasi un secolo dalla prima apparizione della parola. Ad utilizzarla sono un manipolo di giuristi e studiosi di diritto di provenienza accademica che rispondono ai nomi di Juan Luis de Lolme (1740-1806), Amadeo Hufeland (1762-1836), Augusto Luis de Schlözer (1735-1809) e Karl von Rotteck (1775-1840). In realtà, nelle opere di questi autori, al termine Metapolitica non viene data alcuna rilevanza particolare e l’unico che se ne serve per delimitare un ambito disciplinare preciso è von Rotteck. Quest’ultimo gli attribuisce il significato di “scienza teorica dello Stato” per distinguerla dalla “scienza pratica dello Stato” che per lui è la politica in senso stretto. Ora, non è dato sapere come sia avvenuto il trasferimento del termine dalla Spagna o dall’Italia (non risulta infatti che il trattato di metapolitica di Caramuel Lobkowitz abbia mai varcato il confine di questi due paesi) all’area tedesca, ma certo non può essere una casualità che lo si ritrovi nell’ambito degli studi giuridici. Potrebbe senz’altro trattarsi di una casualità o di un fenomeno per così dire di risonanza semantica, ma non può escludersi neppure un passaggio del testimone.
Area filosofico-politica.
L’ingresso della parola nell’area filosofico-politica lo dobbiamo al politico prussiano Freiherr von Stein (1770-1840), ma soprattutto al filosofo francese Joseph de Maistre (1753-1821).
Il barone von Stein incorpora il termine Metapolitica nel suo lessico sicuramente dopo de Maistre che lo precede anche anagraficamente. “Metapolitica” per lui è la politica che si fa a partire da sistemi filosofici e religiosi, ovvero una controparte nell’ambito delle teorie sul governo della Metafisica. L’accezione non è propriamente positiva perché intravede in questa commistione e ibridazione di ambiti diversi, un pericolo per lo Stato su cui vigilare attentamente.
Per Joseph de Maistre invece, fervente credente cattolico, la Metapolitica come neodisciplina e “metafisica della politica” merita tutta l’attenzione e l’interesse possibile.4
Si delineano qui due visioni quasi opposte della Metapolitica: la prima, rappresentata da von Stein, in continuità con i filosofi tedeschi del diritto con i quali condivide l’idea di “stato di natura”, è critica e negativa in favore di una machiavellica realpolitik; la seconda, rappresentata da De Maistre, è costruttiva e positiva, perché si tratta attraverso la sua legittimazione come scienza e come scienza assoluta di contribuire a rivitalizzare culturalmente la cristianità.
Fatto sta, che a partire da questi due autori il termine tende sempre più a caratterizzarsi in senso ideologico.
Da Peter Viereck (1916-2006) – storico americano conservatore5 – a Raymond Abellio (1907-1986) – pseudonimo di Georges Soulès, originariamente comunista, ma passato a destra6 -; da Alain de Benoist (1943), fondatore del movimento culturale neopagano denominato Nouvelle Droite (Nuova Destra) a Marco Tarchi (1952), considerato sulla scia di de Benoist l’ideologo della Nuova Destra italiana ma in versione cattolica – esperienza tra l’altro terminata nel 1994; da Alain Badiou (1937), marxista, fondatore negli anni Sessanta del partito UCF (Union des communistes de France marxiste-léniniste) di ispirazione maoista e difensore dell’ideologia e dei regimi comunisti di ieri e di oggi7 a César Cansino (1963), politologo messicano di formazione liberale sulla scia degli insegnamenti della filosofa Hannah Arendt8, la parola Metapolitica sarà declinata in tutti i modi possibili e associata ad ogni genere di programma, ideale o idea politica. E però prevale su tutti il pensiero reazionario e conservatore che nel Novecento se ne appropria assumendolo d’ufficio nel proprio repertorio linguistico e senza alcuna considerazione per la sua storia e genealogia. Da qui, con ogni verosimiglianza, la sua cattiva fama e l’accidentato percorso linguistico.
Area filosofica in senso stretto.
In ambito filosofico il termine Metapolitica compare di rado, ma da qualche tempo in modo sempre più frequente. L’ingresso nel pensiero filosofico lo dobbiamo a Benedetto Croce che negli anni Trenta comincia ad inserirlo nei suoi discorsi e nei suoi scritti come sinonimo di “filosofia liberale”9. Il senso è chiaro: nella misura in cui la libertà si erge al di sopra o al di là degli schieramenti politici, è in essenza “metapolitica”.
Oltre a Croce, nello stesso torno di tempo, recepisce il termine anche Martin Heidegger che lo intercetta nell’opera di von Stein, ma senza entusiasmo e riducendolo ad una “titolo” con significato tecnico privo di contenuti.10
Anche nell’opera del filosofo e poeta spagnolo Miguel de Unamuno il termine fa la sua comparsa negli anni Trenta e oggi ne troviamo traccia nell’Epistolario inédito (Espasa Calpe, Madrid 1991) che raccoglie una parte della sua corrispondenza del 1932. Com’è noto Unamuno fu dal 1931 al 1933, membro del Congresso dei Deputati, la camera bassa spagnola, nella circoscrizione di Salamanca e quindi aveva acquisito una certa famigliarità anche con la pratica politica. Per lui la politica senza metapolitica, ovvero la politica senza la ragione e il diritto che ne sono il fondamento e l’oltre, mancherebbe di qualcosa di assolutamente imprescindibile.
Passando ai filosofi contemporanei, ce ne sono almeno tre da segnalare: Manfred Riedel, Attilio Meliadò e Alain Badiou.
Ridel è autore di un testo intitolato Metafisica e metapolitica. Studi su Aristotele e sul linguaggio politico della filosofia moderna (Il Mulino, Bologna 1990). La parola Metapolitica per questo studioso indica la implicita presenza di presupposti metafisici nel pensiero politico. Tale presenza si rivelerebbe nelle opere di autori antichi e moderni, dalla Politica di Aristotele al Leviatano di Hobbes, alla Filosofia della storia di Hegel. Il concetto di “metapolitica” può pertanto riferirsi alla fondazione speculativa delle teorie politiche.
Attilio Meliadò, filosofo di formazione cristiana, nel suo La comunità dell’Irreparabile. Saggio di metapolitica del Terzo (Franco Angeli, Milano 2001), proietta la Metapolitica nella dimensione ulteriore (l’oltre) dell’Etica, dove la Politica come “organizzazione e governo della finitezza irreparabile della nostra esistenza” trova finalmente il suo ubi consistam.
Infine, Alain Badiou, autore di Metapolitica (Cronopio, Napoli, 2001), un testo che ha avuto un discreto successo editoriale e che è stato tradotto in più lingue, contribuendo più d’altri a diffondere l’uso della parola omonima soprattutto tra gli intellettuali e i pensatori della sinistra radicale, la definisce come “un’attività di pensiero collettivo che si fa azione”, qualcosa che è allo stesso tempo ideale e reale. Come è stato fatto notare il pensiero di questo studioso è attraversato da tante suggestioni filosofiche, da Hegel ad Heidegger, ibridate con il materialismo dialettico di matrice marxiana.
Area messianico-utopistica.
La Metapolitica come utopia, ad oggi, ha avuto un solo importante rappresentante, il matematico polacco Josef Maria Hoene-Wroński (1776-1853). Wroński ha apportato grandi contributi in moltissimi campi del sapere, dalla matematica all’astronomia alla filosofia, e ha dedicato molte pagine alla Metapolitica11 facendone quasi un sinonimo di “politica internazionale”. Affascinato dalle dottrine occultistiche ed “esoteriche” di cui era un cultore serio12, ha finito col credere che i problemi della sua Polonia e del mondo intero potessero essere risolti a stretto giro da qualche leader politico illuminato e scelto dalla Provvidenza divina (nello specifico il suo candidato ideale era Napoleone III), cosicché sembra corretto definire utopie nazionalistiche o utopie millenaristiche le sue teorie metapolitiche. Tra l’altro, Wroński fu anche il primo ad associare alla Metapolitica la Sinarchia13 di Saint-Yves d’Alveidre.
Area spirituale o mistico-politica
La Metapolitica come concezione spirituale o più esattamente come mistica della politica, ha avuto diversi precursori, i più famosi dei quali sono stati Michel Foucault, Serge Latouche, Raimon Panikkar, Giorgio Agamben e soprattutto la teologa e suora domenicana Antonietta Potente. Forse non tutti sanno che Panikkar ebbe un rapporto duraturo con Silvano Panunzio e che negli ultimi anni della sua vita dedicò alla Metapolitica un lungo saggio apparso però in sordina solo in Canada su una rivista di studi religiosi e antropologici locale. La sua come anche quella degli altri studiosi citati è però una metapolitica in chiave mistica che mette insieme ideali di giustizia sociale, ecologismo, “decrescita felice”, etica cristiana e spiritualità universale. Un eccellente lavoro di sintesi in questa direzione è stato fatto da Federico Battistutta nel suo recentissimo Misticopolitica. Orizzonti della spiritualità post-religiosa (Ed. Effeggi, Arcidosso 2022) dove viene indagato a tutto campo il rapporto tra spiritualità e politica. In questo caso la scelta della parola “misticopolitica” in luogo di metapolitica non è affatto casuale e risponde all’esigenza dei suoi teorici di tenere comunque separata la politica dalla religione, coinvolgendo solo la dimensione individuale, personale e intimistica e non istituzionale e dottrinaria della spiritualità. Incurante di questo aspetto “ideologico” e “politico” del termine è stata invece la giovane e inconsapevole Francesca Ragusa che ha intitolato un suo facile libercolo Metapolitica. Filosofia e meditazione per il popolo nuovo (2012), dove il termine viene associato alla coscienza planetaria e a una concezione olistica dell’universo. E qui ci troviamo ovviamente in piena “filosofia” New Age.
Area sociologico-politica o politico-sociologica
La Metapolitica come riflessione sociologica e politologica o a metà strada tra sociologia della politica, politologia e filosofia politica, ha avuto nel politologo e storico statunitense Anthony James Gregor (1929-2019) un importante precursore14 e nell’italiano Carlo Gambescia e nell’argentino Alberto Buela Lamas (1946) due illustri e viventi rappresentanti. Gambescia, sociologo di lungo corso e studioso di solida formazione liberale, è forse uno dei pochi, se non il solo, ad aver assegnato al termine Metapolitica un significato contenutistico che rende possibile un suo futuro inserimento tra le scienze accademiche. La Metapolitica di Gambescia si prefigge di studiare “la realtà politica nei termini di ciò che essa è, e non di ciò che dovrebbe essere”. Di conseguenza, non ricerca “il fondamento dell’ottimo stato, (…) ma si occupa delle questioni legate alla legittimità del potere (radici e forme) così come si presentano, senza risalire ad alcuna causa prima ultraterrena”. Inoltre, sul piano metodologico, essa si propone di “individuare e relativizzare i giudizi di valore”.15
Diversa la Metapolitica secondo Buela che la ritiene più che una disciplina un “campo di riflessione”, un esame filosofico (ora ermeneutico, ora filosofico-analitico) delle categorie del politico, il cui scopo principale è allo stesso tempo quello di smascherare e demistificare il nuovo imperialismo politico-culturale dell’Occidente e valorizzare e difendere le etnie e le culture locali che vi si oppongono.16
Area metafisico-politica.
Circa la Metapolitica come “metafisica della politica” o “metafisica dell’azione”, l’autore di riferimento è il veronese Primo Siena (1927-2022). Amico ed in certo modo “allievo” di Silvano Panunzio, Siena, reduce della Repubblica Sociale Italiana ed esponente di punta del Movimento Sociale Italiano fino al suo scioglimento nel 1995, sviluppa un’idea tutta sua della Metapolitica, per alcuni aspetti diversa da quella di Panunzio, soprattutto nei suoi risvolti attivistici, insieme culturali e politici17. La sua concezione ideale, eroica e romantica della politica, investe anche la dimensione religiosa fino a sovrastarla. Non è un caso che Siena amasse definirsi “ghibellino” e considerasse “metapolitici” personaggi come Charles Maurras, Carlos Alberto Disandro, Giovanni Gentile18 e Julius Evola. Il carisma guerriero, nel suo caso, prevalse sul carisma sacerdotale, mentre, come stiamo per vedere, in Panunzio accade l’esatto contrario.
Area escatologica-profetica.
L’accezione della Metapolitica come “escatologia civile” e come “profezia” appartiene solo a Panunzio e a nessun altro. Non ci risultano ad oggi autori o studiosi che ne abbiamo raccolto il testimone, a parte noi stessi. Sentiamo quindi quasi come un dovere lo scriverne ogni volta che se ne presenti l’occasione. In questo caso, cercheremo di essere un po’ più analitici del solito, per consentire al lettore di farsi un’idea più precisa di ciò di cui si tratta.
Silvano Panunzio eredita la parola “metapolitica” dal padre Sergio che, a sua volta, l’aveva mutuata dai filosofi tedeschi del diritto del XVIII secolo. Questa combinazione tra l’aldilà e la politica, Sergio Panunzio la vedeva realizzata storicamente negli accordi sottoscritti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, meglio noti come “Patti Lateranensi”, che ristabilivano, seppure in modo inadeguato e insufficiente, i rapporti tra potere temporale e potere spirituale che, per il bene di tutti, andavano non già allentati ma rinsaldati. Il termine Metapolitica, secondo Sergio Panunzio, non solo poteva ben esprimere questa ritrovata intesa nel senso dantesco della pari dignità, ma avrebbe potuto anche promuoverla culturalmente. Da qui l’idea di fondare una nuova rivista di studi filosofico-giuridici con questo titolo. Il progetto purtroppo non andò in porto a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma il figlio Silvano lo riprenderà negli anni Settanta con una impostazione però totalmente diversa, meno culturalista e accademica e più spirituale. Il sottotitolo “rivista di studi universali”, peraltro, ne paleserà apertamente la vocazione tutta cattolica, ecumenica, sapienziale e tradizionale.
Fin dal primo numero uscito il 29 settembre del 1976 – festa di San Michele Arcangelo eletto da Panunzio patrono della Metapolitica -, si cercherà di spiegare il significato della nuova parola – nuova ovviamente per quanti non ne avevano mai sentito parlare – con una serie di articoli mirati19 che integravano quanto già estesamente esposto nella formidabile e poderosa opera in due volumi (complessive novecento pagine!) Metapolitica, dalla Roma eterna alla nuova Gerusalemme.20
Ora, anche se Panunzio non l’ha mai dichiarato esplicitamente e nei suoi scritti non se ne fa parola, l’autore che ha fornito alla “sua” idea di Metapolitica il maggior numero di spunti è stato senza alcun dubbio René Guénon. Senza la metafisica integrale di Guénon, la metapolitica di Panunzio sarebbe inconcepibile, non disporrebbe cioè di fondamenta dottrinali e spirituali solide e si ridurrebbe ad una ben fragile costruzione ideale o, peggio ancora, ad una pericolosa utopia o a un semplice “teorema” sui rapporti di forza. Allo stesso modo, una metafisica senza una complementare metapolitica può più facilmente essere malintesa e scivolare in uno spiritualismo sganciato dalla realtà umana e sociale.
Detto questo, oggi possiamo riconoscere, come ha documentato lo studioso David Bisson nel suo René Guénon. Une politique de l’esprit (Pierre-Guillaume de Roux, Paris 2013), che non è affatto vero che nei discorsi di Guénon manchi la dimensione politica e sociale.
Diciamo che la dimensione metapolitica del messaggio di Guénon è consistita – soprattutto all’inizio del suo magistero tradizionale – non tanto nel criticare (pars destruens) il democraticismo – ovvero la falsa affermazione di principi democratici – e il mondo moderno con tutte le sue storture, quanto piuttosto nel cercare di favorire (pars construens) la creazione e la formazione di una élite intellettuale che mediasse tra Oriente e Occidente, con lo scopo di restaurare quello che in Europa restava ancora in termini di civiltà tradizionale21. Ma bisogna intendersi bene su questo punto per non cadere in equivoci e tradire il vero messaggio del grande sufi. Infatti, questo limpido e insostituibile portavoce della Tradizione, non ha mai scritto che una tale restaurazione fosse realmente possibile né tantomeno che la si dovesse perseguire politicamente come nella migliore tradizione contro-rivoluzionaria22. Per lui, infatti, si trattava solo di promuoverla e favorirla intellettualmente senza entrare direttamente nell’agone politico, al fine di creare una specie di collegamento ideale tra due mondi, quello “vecchio” che in accordo con le leggi cicliche che governano il cosmo volgeva al termine, e quello “nuovo” che segni inconfondibili preannunciavano come imminente23. Giacché nessuna “reazione” umana e nessuna utopia retrospettiva potrebbero mai interrompere i “ritmi della storia”. Era semmai necessario spostare il fronte di lotta dall’esterno all’interno di ciascuno di noi (la più vera e incisiva “azione metapolitica” per Panunzio era lo sviluppo interiore dell’individuo che finisce col riflettersi necessariamente anche nella dimensione sociale e politica). Nessuna “rivolta contro il mondo moderno” dunque (la proposta del primo Evola che poi passò alla formula certo più tradizionale ma non meno problematica del “cavalcare la tigre”), ma una “grande guerra santa” contro i nemici interni che assediano l’anima dell’uomo e ne impediscono la reintegrazione nell’Assoluto. È questa la vera azione restauratrice o “azione di presenza” (formula metafisica di matrice taoista) proposta da Guénon che coincide con la cosiddetta “conservazione rivoluzionaria” (formula metapolitica di matrice soreliana24 ) promossa da Silvano Panunzio.
Non siamo pertanto in presenza di due opposte prospettive mutuamente escludentesi, ma di una sola vista da due punti di osservazione differenti in relazione di reciproca implicazione e integrazione. Quindi, direi che qui cade sia la critica di Panunzio rivolta ai pensatori tradizionali di assenza nelle loro teorizzazioni di implicazioni sociali, che quella rivolta da Tarchi e da altri circa la Tradizione come “mito incapacitante”. Tra l’altro, aggiungiamo, che dopo gli anni Ottanta, la Metapolitica di Panunzio, che sulle orme del padre e lungo il sentiero del “sindacalismo rivoluzionario” possedeva ricadute e implicazioni politiche e sociali, tenderà sempre più a spiritualizzarsi nella consapevolezza divenuta progressivamente certezza, di un esito conclusivo di processi storici in atto ormai non più influenzabili.
Con l’inizio del Terzio millennio infatti, secondo Panunzio, la Metapolitica è entrata in una nuova fase, quella finale in cui le teorizzazioni ideali devono cedere il posto alle realizzazioni concrete. I conflitti e le passioni della Storia governati apparentemente dagli uomini, sono destinati a risolversi in uno scenario apocalittico. Cosicché, tutti i problemi contemporanei, tutte le questioni civili e sociali e persino tutti i problemi individuali dovranno trovare necessariamente alla fine una soluzione provvidenziale e una sintesi nuova.
Ma questo passaggio non sarà indolore e ciascuno dovrà trovare in se stesso la forza di inverarlo. Ecco allora che il vero scopo, e se vogliamo la vera utilità della metapolitica panunziana, sarà quello di ricordare a coloro che ne accoglieranno il messaggio, non solo da dove vengono, ma soprattutto dove sono diretti, perché ad essere in gioco non è solamente la salvezza individuale, le religioni, le civiltà o quel che ne resta, ma il destino stesso del genere umano e persino quello della terra che lo ospita.
Tutto quanto precede andava detto per marcare bene l’abissale distanza che separa la “metapolitica” panunziana tanto dalle sue odierne contraffazioni, quanto da improbabili accostamenti.
Anni fa ci fu addirittura chi provò a trasformare la Metapolitica di Panunzio in proposta politica presentandosi, in vista della campagna elettorale per le amministrative in Puglia, con lo stemma dell’ATMA25. Ciò venne evitato all’ultimo momento, ma un tale esecrabile episodio suggerisce che le precauzioni che si prendono per sottrarre la Metapolitica nell’accezione panunziana ad un uso strumentale e distorto non sono mai abbastanza.
Da qui la necessità e l’obbligo morale da parte di chi scrive di tracciare una netta linea di demarcazione tra ciò che è compatibile con la metapolitica panunziana e ciò che non lo è e non lo sarà mai.
La prima distanza di sicurezza da tenersi a cui lo stesso Panunzio teneva moltissimo, è quella dalla cosiddetta “rivoluzione conservatrice”. A questo proposito ci duole ricordare il disappunto di Panunzio rispetto al titolo del libro di Marcello Veneziani La Rivoluzione conservatrice in Italia (SugarCo Edizioni, Milano 1987) che dava l’idea che il Fascismo italiano si fosse ispirato alla Weltanschauung della Germania nazista (semmai, osservava Panunzio, era esattamente il contrario). Cosa ovviamente non vera e che lo stesso libro di Veneziani, in contraddizione con il suo titolo, confermava nel dettaglio. Ma era proprio questa mancanza di rigore anche nel linguaggio a causare cattive interpretazioni e a vilipendere una vicenda storica già di per sé sufficientemente oltraggiata. Una storia tra l’altro che i Panunzio avevano vissuto in prima persona e dall’interno e di cui conoscevano molto bene le radici storiche e culturali.26
Ora, se insieme al Fascismo anche la Metapolitica dei Panunzio avesse avuto un rapporto di filiazione con il nazionalsocialismo tedesco27, sarebbe stata da rigettare senz’altro, perché come osserva il Vangelo “non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni” (Lc 6, 43-45). Ma la verità è invece che all’origine della nuova concezione della Metapolitica secondo i Panunzio, c’era la scuola italiana e il genio latino di Dante e Savonarola, di Vico e Gioberti, di Mazzini e Rosmini, di Manzoni e Toniolo, di Leone XIII e Sturzo. Questi erano per davvero i loro autori di riferimento.28
Un’altra distanza che la Metapolitica panunziana ha marcato è quella dalla cosiddetta “teologia politica”, sia vecchia che nuova; quindi, sia dai C. Schmitt e E.W. Böckenförde, che dai J.B. Metz; J. Moltmann e E. Schillebeeckx. La “teologia politica” è infatti una branca della filosofia politica e della teologia, ovvero una prospettiva “dal basso” che implica una pluralità di angolazioni diverse, spesso anche conflittuali, laddove invece la Metapolitica è una prospettiva “dall’alto”. Ad esempio, secondo un Carl Schmitt e un Jacob Taubes, la politica e le sue categorie discendono direttamente dalla religione, anzi ne costituiscono una forma secolarizzata; al contrario, secondo un Jan Assmann è la religione ad essere un camuffamento dalla politica. Per entrambe le posizioni, il problema dell’esistenza o meno di un Provvidenza e di una “gerarchia invisibile”, non si pone neppure lontanamente. La Metapolitica panunziana che invece ne tiene conto eccome, non consente alcun confronto e alcuna comparazione con simili prospettive di cui semmai non può far altro che denunciare i limiti.
Analogo discorso può farsi per la filosofia e la teologia della storia, anche se, in particolare per quest’ultima, si può riconoscere una certa “aria di famiglia” con la Metapolitica. Ma la teologia della storia rimane pur sempre un “discorso congetturale” per quanto illuminato dalla fede e dalla grazia, laddove la metapolitica panunziana ha più i caratteri di un “esoterismo” e di una summa dottrinale che integra e rende intellegibile tutto un insieme di conoscenze che provengono dalla Tradizione universale e da una visione insieme etica e spirituale della realtà.
Sta tutta qui la differenza che passa tra la metapolitica panunziana che attinge dall’Oriente, dall’Occidente e dal Mezzodì e, ad esempio, la “sociologia del soprannaturale” di un Don Luigi Sturzo che rimane circoscritta alla sola dimensione teologica cristiana e cattolica.29
Per completare il quadro, non possiamo non parlare della cosiddetta geopolitica che qualcuno vorrebbe “gemellare”, a nostro avviso pericolosamente, con la metapolitica panunziana, proponendo parallelismi alquanto impropri e inopportuni, con le tesi, alla resa dei conti criptopolitiche, di un Jean Parvulescu e di un Alexander Dughin30. La verità è che la geopolitica si limita a studiare le relazioni tra geografia fisica, geografia umana e azione politica, mentre la metapolitica panunziana ne prescinde totalmente. Semmai quest’ultima può avere un rapporto con la “geografia sacra” cara agli antichi, che però non ha manuali che si possano consultare. Qui può aiutare la “toponomastica” o quel ramo dell’antropogeografia che risponde al nome di “geografia religiosa” e che studia il rapporto tra lo spazio geografico, le idee e le credenze religiose31. Naturalmente, sta poi alla facoltà intuitiva e immaginativa del ricercatore farne una giusta lettura metapolitica, come era in grado di fare con eccezionale maestria Silvano Panunzio.
Conclusioni
Dopo tutti questi dovuti e necessari distinguo, sembrerà strano che a conclusione del nostro discorso si propongano, per un approccio alla metapolitica panunziana, letture che Panunzio mai si sarebbe sognato di suggerire. Tuttavia, riteniamo che certi libri e certi autori possono fornire ad essa elementi utili diciamo alla sua esposizione nonché alla battaglia culturale che si può condurre in sua vece e per suo conto. Ad esempio, un Franz Rosenzweig, un Gershom Scholem, un Sergio Quinzio e soprattutto un Henry Corbin. Quattro autori diversissimi tra di loro, ma che ebbero in comune la prospettiva profetica biblica, l’idea di un tempo qualificato e la possibilità – ritenuta assolutamente “reale” – di una irruzione dell’Eternità nella storia. A partire da queste idee che appartennero anche a Panunzio è forse possibile che la Metapolitica venga accettata anche da ambienti solitamente refrattari ed ostili all’esoterismo e al “punto di vista tradizionale”. Non ci facciamo molte illusioni in proposito, ma ci auguriamo che questa prospettiva non finisca nell’oblio e che trovi, anche nei momenti così bui e controversi che stiamo vivendo, altri generosi ingegni pronti a prolungarne e a proseguirne il discorso. Almeno finché i tempi fissati dall’Alto non saranno definitivamente compiuti.
Note
- Una scoperta che dobbiamo al Professor Gustavo Bueno Sánchez (1924-2016).[↩]
- Il termine che indicava invece la città come complesso di edifici e di mura era urbs.[↩]
- L’espressione séculariser venne usata per la prima volta a Münster l’8 maggio 1646 dal legato francese Longueville nel corso delle trattative per la pace di Westfalia. Cfr. di Giacomo Marramao Potere e secolarizzazione (1985).[↩]
- In Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane (1814): «Ma questo genere di considerazioni si ripropone di continuo soprattutto in ciò che la politica ha di più essenziale e fondamentale, e cioè nella stessa costituzione degli imperi. Sento dire che i filosofi tedeschi hanno inventato il termine Metapolitica per porlo, in rapporto alla politica, nella stessa relazione che passa tra la metafisica e la fisica. Mi sembra che questa nuova espressione sia molto ben trovata, per esprimere la metafisica della politica; infatti ce n’è una, e questa scienza merita tutta l’attenzione degli osservatori» (la traduzione dal francese è la nostra).[↩]
- In Metapolitics From the Romantics to Hitler del ‘41 e in Metapolitics: The Roots of the Nazi Mind del ‘61.[↩]
- In Ma dernière mémoire (1981, p. 497) scriveva Abellio: «Tutta la metapolitica è radicata al suo punto più basso in queste regioni travagliate, in queste notti ancestrali dell’inconscio dei popoli dove i complessi di aggressività e di colpa gravitano insieme. (…) Quindi non possiamo capire la seconda guerra mondiale se non ci allontaniamo dalla banale politica e accediamo alla metapolitica (…) Qualunque siano le sue motivazioni immediate, il genocidio del 1942-1945 costituì esso stesso una vera e propria operazione di magia nera dove il folle orgoglio luciferino dei nazisti e il loro bisogno di possessione satanica combinavano i loro effetti» (la traduzione dal francese è la nostra).[↩]
- V. Alain Badiou, Metapolitica, Cronopio, Napoli 2001[↩]
- Cansino ha varato nel 1990 in Messico una testata giornalistica con il titolo “Metapolitica” durata oltre un decennio, l’unica con questo nome dopo quella di Silvano Panunzio.[↩]
- V. B. Croce, In qual senso la libertà sia un concetto metapolitico (in Pagine Sparse, II, Bari 1953) e La concezione metapolitica della storia di Benedetto Croce di Antimo Negri (Sansoni, 1966).[↩]
- V. Concetti fondamentali della metafisica, Il Melangolo, Genova 1983, pp. 56-57. Si tratta della trascrizione dei corsi universitari che Heidegger tenne a Friburgo nel semestre invernale 1929-30.[↩]
- Eccone l’elenco completo : Epitre au Pape (1827); Le Prodrome du Messianisme (1831); Messianisme, union finale de la philosophie et de la religion constituant la Philosophie absolue (1843); Métapolitique messianique (1839); Le secret politique de Napoléon (1840); Epitre à S.A. le Prince Czartoryski sur la Déstinée de la Pologne et généralement des nations slaves (1848); Philosophie absolue de l’histoire ou Genèse de l’humanité – Historiosophie (1852); Lettere varie, tra cui alcune al futuro Napoleone III.[↩]
- Fu ammirato e lodato dal padre fondatore dell’occultismo francese Eliphas Levi e dall’esoterista cristiano Paul Sédir.[↩]
- La parola sinarchia – dal greco συν syn (assieme) e ἀρχή arché (comando) – significa “governare assieme”. Il più antico uso di questo termine, prima che se ne appropriasse Saint-Yves d’Alveidre, si attribuisce a Thomas Stackhouse (1677-1752), un sacerdote britannico che lo usò nella sua pubblicazione New History of the Holy Bible from the Beginning of the World to the Establishment of Christianity (pubblicata in due volumi nel 1737).[↩]
- Cfr. An Introduction to Metapolitics: A Brief Inquiry into the Conceptual Language of Political Science, Free Press, New York 1971. Parliamo più precisamente nel suo caso di un pre-approccio sociologico alla metapolitica (in termini di metodologia delle scienze sociali). Questo studioso si è occupato soprattutto della vicenda storica del Fascismo e ha prodotto numerose monografie su importanti personalità del Ventennio, tra le quali anche Sergio Panunzio. Su quest’ultimo si veda il saggio Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento razionale del fascismo (Volpe, Roma 1978; nuova edizione ampliata, Lulu.com, 2014) che fu scritto consultando a più riprese il figlio Silvano.[↩]
- Carlo Gambescia, Metapolitica. L’altro sguardo sul potere (Ed. Il Foglio, Piombino 2009), pp. 31-32.[↩]
- Il testo di riferimento su questo argomento di Alberto Buela è Metapolítica y filosofía, Ediciones Teoría, Buenos Aires 2002.[↩]
- Si veda La spada di Perseo. Itinerari metapolitici (Solfanelli, Chieti 2013).[↩]
- Da Gentile secondo Siena possiamo apprendere l’amor di patria, la geniale intuizione del valore altamente patriottico delle insorgenze anti-giacobine e la serietà di un cammino filosofico indirizzato alla fede cattolica. Siena è convinto che negli ultimi anni della sua vita Gentile avesse superato l’errore neo-idealista e fosse quanto mai vicino a una vera fede cristiana.[↩]
- La raccolta di questi articoli è in allestimento e uscità nel 2023 con il titolo Che cos’è la metapolitica.[↩]
- L’opera uscita in prima edizione per la romana Il Babuino nel 1979 e quasi subito scomparsa dalla circolazione, è stata finalmente ristampata in anastatica dall’editore milanese Iduna nel 2021 a cura del sottoscritto.[↩]
- Al di là di alcuni aspetti decadenti e regressivi presenti invariabilmente in tutte le epoche, per Guénon un esempio storico di restaurazione della civiltà in termini tradizionale era stato il Medioevo.[↩]
- C’è stato un momento storico tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, in cui qualche personalità disturbata riteneva assurdamente che le tesi di Guénon potessero giustificare il cosiddetto terrorismo di matrice islamista.[↩]
- Su questo si vede l’opera magistrale Il Regno della quantità e i Segni dei tempi (1945).[↩]
- È stato fatto osservare, e a ragion veduta, che per quanto riguarda le critiche al cosiddetto “progresso”, l’autore più prossimo a Guénon è proprio quel George Sorel, teorico del “sindacalismo rivoluzionario”, che tanta importanza ebbe nella formazione e nelle ideazioni filosofiche e politiche di Sergio Panunzio. Il testo di Sorel che precede di vent’anni la Crisi del mondo moderno (1927) di Guénon e che ne anticipa alcuni temi è Les illusions du progrès del 1907.[↩]
- L’Alleanza Trascendente Michele Arcangelo fu una sorta di “fraternità” di ispirazione monastico-cavalleresca creata da Primo Siena e Silvano Panunzio sul finire degli anni Cinquanta con regole di condotta di natura etica e princìpi e obiettivi di natura spirituale.[↩]
- Sergio Panunzio fu amico di Benito Mussolini in gioventù e per tre anni ministro delle comunicazioni del suo governo. Silvano a sua volta fu amico e compagno di classe al Liceo di Vittorio, secondogenito di Mussolini.[↩]
- Vero è che la parola godeva di buona stampa presso i circoli wagneriani che precedettero e ispirarono il Nazionalsocialismo.[↩]
- I rapporti storici tra Metapolitica e Fascismo sono ben spiegati da Silvano Panunzio nel volume La conservazione rivoluzionaria. Dal dramma politico del Novecento alla svolta metapolitica del Duemila (Il Cinabro, Catania 1996), scritto sia come omaggio al padre Sergio del quale vengono esposte le idee, sia come controcanto al libro di Veneziani.[↩]
- V. La vera vita. Sociologia del soprannaturale del 1943 a cui Panunzio dedicò il saggio: Per una rettificazione metafisica della sociologia. Lo spiritualismo storico di Luigi Sturzo, Roma 1961.[↩]
- Dei due “atipici” tradizionalisti, il più confusionario è certamente Dughin che mette insieme, senza alcuna vera comprensione e discernimento, le istanze teologico-politiche di uno Schmitt, il panslavismo russo e le dottrine metafisiche e tradizionali di un Evola e di un Guénon.[↩]
- Su questo soggetto rimandiamo ai validi studi di Daniele Perra: Geografia sacra. Scienza e magia degli elementi naturali dalla preistoria agli etruschi (Ed. Effeggi, 2015) e Dalla geografia sacra alla geopolitica (Cinabro Edizioni, Roma 2020) e a quello ancora unico nel suo genere di Jean Richer, Geografia sacra del mondo greco (Rusconi, Milano 1989). Sulla “geografia religiosa” invece, si rimanda all’unico testo tutt’ora in circolazione del prof. Gastone Imbrighi Lineamente di geografia religiosa (Editrice Studium, Roma 1961).[↩]