Un riassunto di Bruno Bérard del saggio del prof. Wolfgang Smith pubblicato su Sophia, vol. 12, N° 2, 2006.
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
Il nostro mondo non può essere conosciuto se non attraverso un realismo antropico, che denuncia la contraddizione della Weltanschauung contemporanea. L’enigma del “vedere il mondo” denuncia così il cosiddetto Illuminismo come oscurantismo e la rinnovata cosmologia perennis appare in linea con la dottrina tribhuvana indiana.
Questo articolo espone la nostra conoscenza del mondo in cui ci troviamo come realismo antropico (1), poi mostra la contraddizione della Weltanschauung contemporanea (2), dettaglia l’enigma del “vedere il mondo” (3), mostra come il cosiddetto Illuminismo sia in realtà un oscurantismo (4) e quali siano le sue conseguenti contraddizioni nella fisica quantistica (5). Poi, i “due mondi” (quello fisico e quello corporeo) portano a considerare piuttosto i domini ontologici all’interno del “nostro mondo” (6) e a comprendere tale cosmologia perennis alla luce della dottrina indiana tribhuvana (7).
Realismo antropico
Noi conosciamo il mondo in cui ci troviamo come qualcosa di diverso da Dio, mentre Lui conosce tutte le cose “in sé” e nega l’esistenza a “ogni altra cosa che non sia Lui stesso” (Meister Eckhart). Questo significa che il nostro mondo esiste in senso relativo: per noi. Qualsiasi cosmologia che assolutizzi l’universo violerebbe quindi questo fondamentale “principio di relatività”.
Filosoficamente, questo principio si formula come “realismo antropico”, in fase con qualsiasi tradizione sapienziale, e come unica posizione realista “di fronte alla gnosi“. Si differenzia fondamentalmente da ogni tipo di realismo “accademico”, a partire dalla varietà cartesiana, e si conforma all’intuizione originaria di Husserl, ma naturalmente non allo sviluppo autonomo della fenomenologia, che rinuncia alla metafisica. Avrebbe dovuto rimanere “di fronte alla gnosi” e certamente se ne rese conto quando confidò tristemente a Edith Stein di aver “cercato di trovare Dio senza Dio!”.
Il realismo antropico si regge “sul fondamento della percezione non mediata”: noi conosciamo il mondo, anche se concepito come qualcosa di esterno; esso esiste (solo) “per noi” e, se non lo conoscessimo affatto, non sarebbe ipso facto il “nostro mondo”. Eppure non lo conosciamo totalmente: “ora lo conosciamo in parte”, dice San Paolo. Questo perché anche il mondo esiste “in parte”: un misto di Essere e non-essere, Luce e tenebre, Atto e potenza. Inoltre, se lo conoscessimo “per intero” – come Dio stesso conosce -, allora svanirebbe all’istante, come un’immagine proiettata scompare nella pienezza della luce.
Ciò che scompare allora non è la luce parziale, ma piuttosto l’oscurità precedente, il che significa che ciò che viene negato nella conoscenza suprema sono le “negazioni” (di Meister Eckhart). Ciò che scompare non è stato distrutto perché non è mai esistito. Ecco perché Cristo dichiara: “Non sono venuto per distruggere, ma per dare compimento”.
La contraddizione della “Weltanschauung” contemporanea
Paradossalmente, nella nostra epoca contemporanea di relativismo, l’universo è stato assolutizzato in contraddizione con il realismo antropico, e mentre la scienza parla di ipotesi, o di teorie convalidate (finora) da un certo modus operandi, le sue affermazioni sono assunte come verità assolute. Questi assoluti, tuttavia, non solo sono falsi alla luce della gnosi, ma anche da un semplice punto di vista filosofico.
Infatti, ridotto cosmologicamente a una mera parte dell’universo, l’uomo – sia esso visto darwiniamente come un “incidente molecolare” o “progettato intelligentemente” – è implicitamente negato nella sua capacità intellettuale. Ora il suo intelletto, che è la facoltà con cui conosce, con cui il cosmo esiste oggettivamente, letteralmente “non è di questo mondo” 1; e se questo può essere messo in ombra, non può essere negato.
Se la cosmologia contemporanea non può rendere conto dell’atto del conoscere, è perché il conoscere non si riduce all’essere: “conoscere è ultimo”, come diceva Whitehead2. Ecco perché i neuroscienziati non possono trovare, e non troveranno mai, il conoscente: è stato escluso dalle premesse stesse di questa Weltanschauung che assolutizza l’universo. Al contrario, esiste solo un universo “relativo”, complementare all’uomo, che è una “metà piena” di questa complementarità. Per questo, non sono nettamente separati, ma l’uomo e il cosmo si sovrappongono, in particolare grazie al corpo dell’uomo – il suo “involucro esterno” -, che rende appunto la presenza del mondo “per noi”. Ciò non è diverso da quanto ha sempre insegnato qualsiasi cosmologia perennis – sia essa sotto forma o veste di folklore, mitologia o trattato esoterico.
L’enigma del “vedere il mondo”
Tra i sensi con cui percepiamo, e quindi conosciamo, il mondo, la vista è certamente la facoltà principale, il che porta a parlare di “visione del mondo”, piuttosto che di “udito del mondo” o “tatto del mondo”! Questo perché “il sapere è ultimo” e questa semplice percezione visiva non può essere spiegata da alcun processo cosmico, a prescindere dagli impressionanti progressi compiuti dalla neurofisiologia cognitiva, in particolare nel processo fisico del sistema visivo primario (dalle cellule ganglionari retiniche – un milione per occhio – all’ippocampo). “Possiamo vedere come il cervello smonta l’immagine, ma non vediamo ancora come la mette insieme” conferma Sir Francis Crick3, perché è ormai dimostrato, sulla base di studi empirici, che la percezione visiva non è affatto una questione di vedere un’immagine4.
Non vediamo “immagini” perché ciò che vediamo è l’oggetto corporeo stesso: una montagna, un albero o un quadro incorniciato in una galleria d’arte! Come ogni atto di conoscenza, la percezione si consuma in una sorta di unione tra il soggetto e l’oggetto. “In un certo modo”, dice Aristotele, i due diventano uno. Sebbene l’atto di conoscenza umano coinvolga il corpo fisico – intersezione tra mondo e uomo, come detto -, esso si consuma per forza nell’Intelletto, che non è né nello spazio né nel tempo.
Un Illuminismo oscurantista
Anche se la scienza cognitiva potesse dimostrare qualcosa in accordo con la dottrina perenne sull’Intelletto, la scienza contemporanea detesta del tutto considerare che l’uomo “non è di questo mondo”. Al contrario, il cosiddetto Illuminismo ha progressivamente oscurato del tutto tale dottrina: l’uomo è ormai parte del mondo naturale. Inoltre, mentre il mondo “anteriore” era pieno di qualità (colori, suoni, profumi…), l’universo cartesiano è stato ridotto a una mera res extensa (cose estese), priva di qualsiasi qualità e, come tale, un mondo che nessun occhio umano potrà mai vedere. Sebbene Cartesio non negasse la trascendenza dell’Intelletto, la sua errata teoria della percezione isolava il mondo dall’osservatore umano. Questa è una prima contraddizione: un uomo parte del mondo naturale ma tagliato fuori come res cognitans (entità pensante) contro res extensa.
Naturalmente, tutto ciò nasce in un’epoca di predilezione per un universo matematizzato, preparato dalla fisica di Galilo e culminato con le monumentali scoperte di Newton. Tuttavia, lontano dal realismo antropico, ciò si rivela errato e addirittura contraddittorio. In questa nuova epistemologia, l’atto percettivo non termina in un oggetto esterno ma in una rappresentazione soggettiva, un fantasma a cui vengono assegnati tutti gli elementi qualitativi, cosicché l’oggetto rimane quella pura res extensa. Tale mondo non è più il “nostro” mondo; inoltre, tale mondo cartesiano – ancora quello della scienza moderna – non può essere conosciuto affatto e, addirittura, non esiste.
Contraddizioni conseguenti nella fisica quantistica
Anche se il fisico pensa di conoscere un universo fatto di res extensa, è per forza in errore nella sua convinzione filosofica. Che cosa conosce allora? Ha a che fare con due tipi di oggetti intenzionali: strutture matematiche come teorico, entità corporee (la res extensa non può essere percepita) come sperimentatore.
Il fisico newtoniano era apparentemente convinto di avere a che fare con entità (siano esse solidi, liquidi, gas o addirittura campi), nonostante l’universo cartesiano, seguendo una concezione “meccanica” (in senso piuttosto grossolano) – fino alla sfortunata teoria dell’etere della seconda metà dell’Ottocento -, che durerà fino all’inizio del XX secolo, sotto la consumata espressione formulata da Albert Einstein5.
La caduta del meccanicismo è avvenuta con la fisica quantistica, perché “sotto” il livello a cui si riferisce, non c’è alcun meccanismo e, come tale, questa nuova fisica non può più essere concepita in termini cartesiani. Prima dell’avvento dei quanti, la res extensa, pur essendo priva di contenuto scientifico, poteva comunque servire come una sorta di “piolo ontologico” a cui agganciare formalmente quantità misurabili. Questo è ciò che la fisica quantistica ora vieta: la matematica non permette più tale identificazione. La fisica stessa ha infine proclamato defunta l’ontologia cartesiana!6.
Ciononostante, la fisica quantistica sostiene strenuamente questa epistemologia scaduta (secondo la quale la percezione umana termina in un fantasma mentale) e nega persino qualsiasi altra: “ogni dottrina che non presupponga implicitamente questo punto di vista viene assunta come incomprensibile”7, diceva Whitehead già nel 1934.
Eppure, quello che è stato definito paradosso quantistico è semplicemente il modo in cui la Natura ripudia una filosofia spuria. La lunga ricerca degli “atomi” non si è conclusa con la scoperta finale di una res extensa indivisibile, ma con una cosiddetta particella, che non è affatto una particella, ma una sorta di entità esistente che non è né una “semplice” struttura matematica né un oggetto corporeo. Si tratta di “uno strano tipo di entità fisica che si trova proprio nel mezzo tra la possibilità e la realtà”, ha detto Werner Heisenberg8.
Inutile dire che queste particelle quantistiche dell’universo fisico non possono essere percepite! Ora, se il mondo corporeo esiste “per noi” attraverso la percezione dei sensi, anche loro esistono per noi, ma indirettamente, attraverso un complesso modus operandi. Quando l’entità fisica impercettibile interagisce con uno strumento corporeo, solo allora viene rilevata, misurata e sperimentata. Tale interazione “getta un ponte” tra i “due mondi” della fisica moderna.
Il problema è che il fisico riconosce solo il mondo fisico e, fuorviato da un’epistemologia spuria, crede che l’erba verde e la mela rossa esistano solo come un fantasma in qualche res cogitans, mentre il “mondo reale” consiste solo nelle particelle e nei loro aggregati. Ma la stessa teoria quantistica sconfessa questa filosofia, proprio perché, al momento dell’interazione tra la particella fisica e lo strumento corporeo, si verifica il fenomeno chiamato “collasso del vettore di stato” (cioè il vettore di stato presenta una discontinuità inspiegabile, o la cosiddetta equazione di Schrödinger viene reinizializzata).
Mentre il fisico, nonostante lo strumento corporeo che utilizza, vede solo oggetti fisici, noi vediamo piuttosto le implicazioni quantomeccaniche di questo strumento corporeo. Questo collasso significa per noi che la Natura stessa distingue tra “i due mondi” e, invece di mistificarci come i fisici dal 1927, si rivela indicativa di un’ontologia “a due mondi” corrispondente a una visione realista della percezione. Il mondo fisico e quello corporeo coesistono perché, lungi dall’essere assoluti, esistono “per noi” in virtù di un modo di conoscere corrispondente. Ciò che conosciamo dipende dal modo in cui lo conosciamo; lungi dall’essere un “due mondi” contraddittorio, questo è solo un altro modo per illustrare il realismo antropico.
Dai “due mondi” ai domini ontologici
Invece di parlare vagamente di “due mondi”, precisiamo che un mondo è definito da una modalità di conoscenza primaria (che definisce la nostra umanità comune e il mondo corrispondente), mentre un certo dominio ontologico (all’interno di questo mondo dato) può corrispondere a una modalità secondaria (basata sulla primaria). La modalità primaria di cognizione parte dalla percezione sensoriale: “non c’è nulla nell’intelletto che non sia prima nei sensi”9, come chiaramente esemplificato nello sviluppo mentale di un bambino ed evidenziato dal fatto che non possiamo pensare senza l’uso di immagini sensibili – ciò che la Scolastica chiama phantasmata.
Così, mentre il corporeo è il “nostro mondo”, il fisico non può essere altro che un dominio particolare all’interno di quel mondo. Da qui nasce l’asimmetria per cui il corporeo non fa riferimento al fisico, mentre il fisico deve fare riferimento al corporeo. Questo fino al punto in cui possiamo dire che il fisico sta al corporeo come potenza di agire (cfr. L’enigma dei quanti, op. cit., capitolo 3). Le entità fisiche sono infatti potentiae, come riconosceva lo stesso Heisenberg (“proprio nel mezzo tra possibilità e realtà”). L’ordine fisico esiste in relazione al mondo corporeo, così come esistono numerosi altri domini che non possono essere ridotti al mondo corporeo (il cosiddetto “mondo finanziario”, ad esempio). L’ordine corporeo comprende molteplici domini non corporei, nessuno dei quali è riducibile a un altro.
Cosmologia perennis alla luce del tribhuvana
Se un modo primario di conoscere definisce il mondo che esiste “per noi”, il nostro attuale costituisce un grado di aparavidyā, un grado in fondo alla scala, corrispondente a ciò che il cristianesimo chiama la caduta. Ma questo grado di conoscenza può essere trasceso, come insegnano le tradizioni sacre, le pratiche spirituali, tutte le forme di yoga. Per questo la cosmologia perennis costituisce un realismo antropico in cui i vari livelli cosmici corrispondono a specifici gradi di conoscenza, come la cosmologia si collega a un’antropologia inseparabile.
I principali gradi di conoscenza e i corrispondenti livelli del cosmo integrale si riassumono in una triplice divisione di base, come indicato nella dottrina vedica (cfr. Mandukya Upanishad) del tribhuvana o “triplice mondo” (bhūr (Terra), bhuvar (“atmosfera”), svar (cielo)). Questi tre mondi corrispondono, in ordine crescente, a:
- lo stato di veglia (jāgrat),
- lo stato di sogno (svapna),
- lo stato di sonno senza sogni (sushupti).
Eppure, sorprendentemente per il lettore contemporaneo, è proprio in uno stato analogo a quello del sonno senza sogni che il mondo spirituale deve essere conosciuto. Così si legge nella Bhagavad Gita II, 69: “In ciò che è notte per tutti gli esseri, l’uomo raccolto è sveglio; e dove tutti gli esseri sono svegli, c’è notte per il muni che vede”.
Se, evidentemente, l’Occidente moderno riduce la sua visione e la conseguente cosmologia alla divisione più bassa del tribhuvana (divisione che comunque supererebbe di gran lunga tale visione), ciò che le scuole teologiche occidentali sembrano aver trascurato è il dominio intermedio (il bhuvar vedico) mentre, sul versante antropologico, il tradizionale ternario corpus-anima-spiritus sembra essere collassato nella dicotomia corpus-anima. Dissimmetricamente troncate, come potrebbero queste cosmologie e antropologie parziali corrispondere ulteriormente?
Va notato che è proprio quando l’antropologia tende a ridurre lo spiritus ad anima che gli individui iniziano a cercare il mondo cosmologico intermedio o “sottile” o, come lo chiamano gli occultisti, il piano “astrale”. Ci sono stati molti sensitivi o cosiddetti medium che, nel XIX secolo, sono entrati in quel regno proibito e, nel XX, con l’avvento dell’hippiedismo e del movimento New Age, i giovani hanno fatto altrettanto con l’aiuto di droghe psichedeliche. Tuttavia, anche se tutti noi abbiamo questa facoltà latente di conoscere il mondo sottile, non dovrebbe essere attivata prematuramente, né senza la protezione della grazia sacramentale. È per questo che la Chiesa è sempre stata reticente nel fare riferimento a questo argomento, arrivando però a una situazione in cui molti non hanno avvertimenti e consigli appropriati (si potrebbe qui distinguere tra la Chiesa ortodossa che definisce questo piano astrale il mondo “aereo” (essendo la “dimora dei demoni”), che apparentemente deve essere sofferto in vita, e la tradizione cattolica che lo definisce Purgatorio, concepito piuttosto come uno stato post mortem).
In ogni caso, il confine più netto è quello che separa il dominio intermedio dal terzo: sushupti o svar, essendo la vita spirituale fuori dalla portata della scienza moderna, in grado di coprire solo una parte dei domini corporeo e psichico.
Mentre la triplice divisione costituisce la base della cosmologia tradizionale, ogni dominio ammette ulteriori suddivisioni: i loka o “mondi”. È la tradizione tantrica che insegna le corrispondenze tra ogni loka e i “centri” umani chiamati cakra o padma – normalmente dormienti ma che si possono attivare per accedere al loka corrispondente. Tra i sei cakra primari, i primi quattro (in ordine crescente) si riferiscono a bhūrloka e il quinto (vishuddha) a bhuvar, come i quattro elementi e l’etere (ākāsha) o quinta essentia (nella tradizione occidentale). Il sesto è ājñā corrispondente a svar, mondo celeste e dominio spirituale (si noti il prefisso “ā” (“a” lunga), che non nega ma “amplifica”). Non sorprenderà sapere che i primi quattro sono situati nel torso e il sesto nella testa, mentre il quinto si trova proprio nel collo, che rappresenta chiaramente il collegamento o l’istmo tra il regno celeste e quello terreno10.
Secondo il tantra vidyā, esiste una molteplicità indefinita di cakra secondari corrispondenti a suddivisioni sempre più sottili del tribhuvana. Tuttavia, non si tratta di una semplice “speculazione”, poiché è associata alle tecniche del Kundalini Yoga e ha quindi una base sperimentale, costituendo di fatto una scienza. Questa scienza supera ancora quelle moderne: abbiamo scoperto un piano “sub-corporeo” che non corrisponde a nessun cakra e può essere conosciuto solo indirettamente attraverso la mensurazione, mentre i maestri tantrici hanno gettato le basi di una cosmologia integrale basata su una modalità superiore di percezione diretta.
Con tutti questi “mondi nei mondi”, se l’uomo è in grado di conoscere il cosmo integrale (ancora una volta, non in modo completo ma “in parte”), è perché ogni loka della gerarchia cosmica contiene in modo preminente tutto ciò che è contenuto nel mondo inferiore e, soprattutto, perché questi mondi rispondono a qualcosa che esiste in noi: l’immensità del cosmo è completata dall’immensità dell’anthropos. L’uomo moderno ha appena iniziato a conoscere se stesso e, per questo motivo, ha appena iniziato a conoscere anche il cosmo, anche se, nonostante la sua ignoranza, si mostra onnisciente11.
La Cosmologia perennis, pur essendo presente in innumerevoli formulazioni nella letteratura sacra dell’umanità, appare spesso come un’accozzaglia di speculazioni “primitive”, da liquidare come insensate o, peggio ancora, da interpretare con nozioni contemporanee. Per coloro che hanno avuto qualche contatto vivo con l’Oriente o con la restante tradizione sapienziale occidentale, questa saggezza non si riferisce né alla filosofia né alla religione in quanto tali, ma alla scientia, questa conquista di sé o viaggio “interiore” – la scienza in un senso a lungo dimenticato12.
Conosciamo il cosmo come conosciamo noi stessi, abbiamo detto, perché l’esterno corrisponde all’interno, perché esiste un isomorfismo tra microcosmo e macrocosmo. Entrambi vanno insieme e quindi costituiscono come le due facce di una medaglia, i due aspetti di un’unica Realtà. Questa “unica Realtà”, naturalmente, può essere inquadrata solo nei termini di paravidyā, mentre aparavidyā – il sapere inferiore – polarizza o divide il Reale in soggetto e oggetto, mondo interno ed esterno. La vera gnosi o jñāna è al di là di questa scissione o di questa dualità, al di là del mondo di māyā (illusione della dualità) e di avidyā (ignoranza).
Prima di arrivarci, se la grazia lo farà, qual è il significato “per noi” dell’immensità del cosmo integrale con i suoi molteplici loka? Il cosmo, con i suoi livelli ascendenti di regioni sempre più eteriche, costituisce la Montagna di Dio, oggettivando l’itinerarium in Deum che siamo chiamati a compiere.
Ad esempio, il quinto cakra è già associato a poteri cognitivi che riteniamo miracolosi, trascendendo la polarizzazione del bhurloka (dominio corporeo) e l’opposizione di “passato” e “futuro”, portando l’adepto a percepire il trikāla (o “tre volte”), cioè la simultaneità. Situato nel collo, non a caso questo cakra è chiamato “la Porta della Grande Liberazione” (che potrebbe essere la “Porta stretta” di Matteo 7.14), dando accesso al loka più alto: ājñā cakra o il “terzo occhio” (che certamente è anche l'”occhio unico” di Matteo 6.22), unico e trascendente la polarizzazione dei dvandva (“coppie di opposti”).
Svolgendo un ruolo cruciale nell’ascesa spirituale dell’uomo, il cosmo è paragonabile a una scala. Tuttavia, esistendo “per noi”, è mediato dalla cultura. Quando la tradizione sacra si eclissa e il cosmo si riduce a un universo autosussistente a un solo livello, non è più una teofania e la scala si trasforma in una prigione. Non c’è più spazio per l’ascesa spirituale in un universo newtoniano o post-newtoniano! Ogni aspirazione è ripudiata nel limbo della soggettività e si dimostra illusoria.
Mesmerizzata dalla cosmologia scientista dominante, la religione moderna sembra limitarsi a qualche semplice consolazione umana: la nuova cosmologia oggettiva la cecità spirituale delle fasi successive del Kali Yuga. Tuttavia, il livello cosmico più basso che percepiamo con i nostri sensi ordinari deve essere percepito correttamente: “se la concezione dell’uomo dell’universo fisico non è in accordo con la realtà, la sua natura spirituale sarà paralizzata alla radice” (Oscar Milosz)13.
Note
- Aristotele dice che “l’intelletto entra dalla porta” (o “dal di fuori”); Sulla generazione degli animali, II 3, 736A, 27B, 12; citato da Jean Borella, Ésotérisme guénonien et mystère chrétien, L’Âge d’Homme, 1997, p.66; edizione anglo-americana: Guénonian Esoterism And Christian Mystery tradotto by G. John Champoux, Sophia Perennis, 2004.[↩]
- The Concept of Nature, Cambridge University Press, 1964, p. 32. Si potrebbe anche affermare che la conoscenza è prima, o sui generis[↩]
- Cfr. “Neuroni e mente”, Sophia, vol. 10, n° 2, 2004. e “L’enigma della percezione visiva”, Sophia, vol. 10, n° 1, 2004.[↩]
- Questo riconoscimento decisivo è stato raggiunto da James J. Gibson dopo decenni di ricerche. Si veda “L’enigma della percezione visiva”, Sophia, vol. 10, n° 1, 2004[↩]
- i brillanti articoli di Einstein del 1905 e del 1915 hanno scosso le fondamenta della fisica precedente, ma egli non si oppose mai all’idea di meccanismo[↩]
- Si veda The Quantum Enigma, Sophia Perennis, Hillsdale, N.Y., 2005[↩]
- Nature and life, Greenwood Press, New York, 1964, p. 6.[↩]
- Physics and Reality, Harper & Row, New York, 1958, p. 41.[↩]
- “Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu” a cui si può aggiungere la correzione leibniziana: “nisi ipse intellectus” (tranne l’intelletto stesso); cfr. Nouveaux essais sur l’entendement humain, Livre II, chap. 1, § 2; citato da Jean Borella, Le Mystère du signe, éditions Maisonneuve & Larose, Paris, 1989, (riedito in coll. Delphica, L’Âge d’Homme, Lausanne, 2004), 270 pagine, p. 240.[↩]
- Oltre a questi sei cakra primari, c’è il settimo sahasrāra (o “Loto dai mille petali”) vicino alla corona della testa. Corrisponde al paravidyā – senza ovviamente alcun loka associato -, dove lo Yogi entra nel nirvikalpa Samadhi e, trascendendo il cosmo integrale, raggiunge la Realtà Suprema[↩]
- Oscar Marcel Hinze ha dimostrato l’anatomia dei cakra[↩]
- la Farbenlehre di Goethe (La lezione dei colori) è forse uno degli ultimi casi riconoscibili di vera scientia. Se ha incontrato la totale incomprensione dei suoi coetanei newtoniani, ha tuttavia suscitato di recente un notevole interesse, anche da parte di fisici come Werner Heisenberg o Henri Bortoft (allievo di Davod Bohm), che ne hanno scritto un libro meraviglioso: The Wholeness of Nature, Lindisfarne Press, Hudson, N.Y., 1996[↩]
- Oscar Vladislas de Lubicz Milosz (1877-1939) è stato un poeta, diplomatico ed esoterista lituano-francese.[↩]