Utilizzando le parole di un sacerdote rivolte a un bambino per dargli tre aspetti della preghiera a Dio, possiamo scoprire i valori spirituali più elevati. Questo è ciò che verrà seguito qui, prima di passare dalle parole al silenzio, dagli atti sporadici alla preghiera permanente.
Un sacerdote ha recentemente riassunto la preghiera per un bambino: Grazie-Perdono-Piacere. Dietro questa apparenza semplicistica, possiamo tuttavia distinguere i valori spirituali più elevati. Naturalmente, ne parleremo in quest’ordine, ma ci sembra che lo stato ultimo della preghiera li riunisca in un unico gesto, ora silenzioso e permanente.
Grazie.
Dire grazie – a Lui o, per lo meno, dentro di noi – significa, al livello più profondo, riconoscere il dono di essere che abbiamo ricevuto. Il Vangelo dice: “Che cosa avete che non abbiate ricevuto” (1 Cor. IV, 7), a partire dal fatto di essere. Quindi, riconoscere che non siamo la nostra causa, che veniamo “da altrove”, è una componente essenziale di uno stato di preghiera. Io sono “nulla”, nient’altro che questo essere che è stato ricevuto e che se ne rende conto. Realizzare questo significa sapere che c’è un dato, un dono e un Datore.
E Dio non dà solo l’essere, dà anche l’Amore e la Libertà – inseparabili! Possiamo già dire che l’essere e l’amore sono la stessa cosa. Secoli prima del Cristianesimo, Platone aveva già identificato Dio come il “Bene sovrano”, e “Dio è Amore” (1 Gv IV, 16) sarebbe stato insegnato dalla religione dell’amore: il Cristianesimo. Dare veramente significa dare per amore; dare è l’atto d’amore per eccellenza, è l’amore in azione. Ogni dono è essenzialmente un dono d’amore; è l’amore stesso. L’essere è relazionale e l’amore è la relazione per eccellenza. Nella Trinità, è lo Spirito Santo che porta entrambi i nomi: dono e amore, come direbbe San Tommaso d’Aquino. Tommaso d’Aquino, è che lo Spirito Santo è il Dono in persona perché è la relazione d’Amore che unisce il Padre e il Figlio e diventa la terza Persona della Trinità (Sant’Agostino)1. Il fatto che Rûach haqqòdesh in ebraico sia femminile (come Shekhinàh) aggiunge una dimensione femminile e materna a Lui.
Da quel momento in poi, riconoscere questo dono nella gratitudine – il “grazie” della preghiera – significa partecipare allo Spirito Santo, entrare nell’amore2. Ma non è solo questo; è anche, seguendo Cristo, partecipare al Figlio, alla filiazione offerta dal Padre al Figlio e alle creature create attraverso di Lui.
Se Dio dà allo stesso tempo la libertà, è perché l’amore è un’unione, una relazione reciproca. L’amore non può mai essere forzato, a meno che non sia più amore. L’essere donato è quindi sia amore che libertà. Con l’essere ricevuto, si scopre l’amore; la libertà essenziale autorizza una risposta. Se c’è una risposta, allora lo Spirito respira.
Sta all’uomo in preghiera diventare questo nulla di essere e di amore; sta alla sua libertà permettere la fioritura di una relazione d’amore; sta allo Spirito Santo – che soffia dove vuole (Gv III, 8) – farlo sbocciare, Deo volente.
Perdono.
Alla fine, questo “Perdono” – questa richiesta di perdono – non è molto diverso dal precedente “Grazie”. Crescendo, i bambini capiscono rapidamente che tratta di aver preso troppa marmellata, a scapito del fratello o della sorella, ma che non si tratta mai di qualcosa di diverso dalla mancanza di amore. Ogni “peccato”, ogni inadeguatezza è un fallimento dell’amore, una mancanza d’amore.
Ora, realizzare il dono dell’essere e dell’amore significa riconoscere la propria inadeguatezza, scusarsi per essa e desiderare che l’amore invada tutto. Lamentare una mancanza d’amore, con contrizione, significa impegnare la propria libertà, la propria libera scelta, nell’instaurazione di una relazione d’amore perfetta, invitare lo Spirito a respirare se lo desidera, accettare di diventare figlio attraverso l’unico Figlio del Padre.
In questo stato di preghiera, l’uomo è contrito per la sua imperfezione, ridotto al suo ‘nulla’ di essere e di amore. Lì, si abbandona liberamente alla misericordia divina.
Per favore.
“Chiedete e vi sarà dato. Chiunque chiede riceve”, dice il Vangelo (Mt VII, 8). Conosciamo tutti le richieste dei bambini: un cavallo, un regalo di Natale, un motorino… Ma non c’è nulla di ridicolo in queste richieste all’età in cui vengono fatte. Il più delle volte, si riferiscono a cose impossibili nel contesto familiare del bambino, ma così facendo, riconoscono che nulla è impossibile per Dio. C’è un mondo oltre! Essendo cresciuto, sa che il mondo è pieno di cose impossibili. Ma sa anche che esiste una gerarchia di valori: tra l’Amore e tutto il resto, tra Dio e questo mondo, e l’Amore divino è in grado di soddisfare ogni speranza. Sa anche che al di là delle richieste di cose piccole e terrene (il corpo, le cose materiali, la lunga vita, la salute, la ricchezza, gli onori), ci sono soprattutto richieste di beni per l’anima, beni spirituali che poggiano esclusivamente sulla grazia di Dio3.
Riconoscere la propria inadeguatezza non è la stessa cosa che desiderare che si realizzi. Scoprire l’Amore non è forse la stessa cosa che entrare nella speranza?
In questo stato di preghiera, ogni richiesta specifica – anche se è per qualcun altro (preghiera di intercessione4) – è affidata a Dio, alla Sua volontà. -è affidata a Dio, alla Sua volontà. Così facendo, non si parla più di speranza – nel senso di speranza in qualcosa. C’è solo uno sfondo di speranza. Riponiamo la nostra fiducia in Dio. E non è forse questo il significato di “per favore” (“s’il-te-plait”/se ti piace in francese), ossia “sia fatta la Tua volontà”?
Al di là delle parole
È meglio stare lontani dalle parole. Così, dice San Giovanni Climaco: “non usare parole dotte nelle (tue) preghiere, perché molto spesso le chiacchiere semplici e senza pretese dei bambini hanno soddisfatto il loro Padre celeste”5.
È persino opportuno andare oltre le parole, perché “il silenzio è meglio della parola”, dice Isacco il Siro6. Questo perché, in questo stato di preghiera, “non sappiamo cosa dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere. Ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti ineffabili” (Rm VIII, 26). Il Vangelo dice anche: “Quando pregate, non moltiplicate le parole vuote, come fanno i pagani, che pensano di essere ascoltati a forza di parole. Non siate come loro, perché il Padre vostro sa di cosa avete bisogno prima che glielo chiediate” (Mt VI, 7-8).
Così, consiglia S. Evagrio il Pontico Evagrio il Pontico: “Cerchi di assordare il suo intelletto, di renderlo senza parole, al momento della preghiera. Allora sarai in grado di pregare”7
E Isacco il Siro può dire: “La preghiera pura non è né conoscenza né parole, ma il vuoto dell’intelligenza e un intelletto calmo e raccolto, portato alla pace dal silenzio dei movimenti e dei sensi”8. La preghiera, oltre alla purezza, è stabilità dell’intelletto, calma del cuore, riposo della mente, tranquillità dei pensieri, contemplazione del nuovo mondo, consolazione nascosta, relazione con Dio e intelligenza nella comunione con Dio attraverso la rivelazione dei suoi misteri” (ibid.).
Conclusione.
Se riuniamo questi stati profondi della preghiera in questo modo: essere un “nulla” dell’essere e dell’amore ricevuto e donato liberamente al soffio dello Spirito, abbiamo raggiunto la fine della preghiera. Lì, una volta riconosciuto il dono, “in un cuore chiaro e semplice”9, il lavoro umano di aprirci al Datore è compiuto10; libero a Lui come lo Spirito soffia, “Dono di santificazione”11 e “Don excellentissime”12.
Questo stato di preghiera silenziosa, mantenuto nel profondo del cuore, può poi diventare permanente. Ci sembra, quindi, che risponda all’ingiunzione evangelica: “Pregate senza sosta” (1 Tess. V, 17).
Oh, Dio, Non sono niente, Non valgo nulla, Non merito nulla;
La mia unica dignità deve essere creato per amore attraverso il Figlio, nello Spirito Santo.
Oh, Dio, Non so nulla, Non ne so nulla, Non lo capisco.
So solo che mi hai dato l’essere, amore e la libertà di accettare.
Sia fatta la Tua volontà,
Sono solo “un nonnulla d’essere profumato d’attesa”.13
Note
- “Lo Spirito è propriamente chiamato Dono solo a causa dell’amore”, De Trinitate XV, xviii, 32.[↩]
- “Il Dono che unisce gli uomini a Dio e tra loro nella grazia è l’Amore reciproco del Padre e del Figlio: lo Spirito Santo in persona”, Gilles Emery, op, seguendo S. Agostino, Nova et Vetera, XCVI(e anno – gen.feb.mar.2021.). Agostino, Nova et Vetera, XCVIe anno – gen.feb.mar.2021.[↩]
- Due tipi di richiesta chiaramente distinti nel Trattato di Origene sulla preghiera. Si veda Origene, Questions sur la prière, Saint-Léger éditions, 2018.[↩]
- Uno dei quattro tipi di preghiera di Origene[↩]
- San Giovanni Climaco, Scala Paradisi, Passo 28, PG 88 1132 A. Riferimento e seguito in Bar Hebraeus, Ethicon, Memra I (trad. Herman G. B. Teule), Louvain: Peeters, 1993. Traduciamo.[↩]
- Isacco il Siro, 2e Parte, Sezione XIII, in S. Brock, The Syriac Fathers on Prayer and the Spiritual Life, Cistersian Studies Series 101, Kalamazoo (Mi), 1987. Traduciamo.[↩]
- S. Evagrio il Pontico, De Oratione, cap. XI, ed. Hausherr, p. 13.[↩]
- Vedi Symeon di Taibouteh, cfr. Bar Hebraeus, op. cit.[↩]
- S. Evagrio il Pontico, Institutio ad monachos, ed. J. Suarez, PG 79, 1235C.[↩]
- “Infatti la preghiera è veramente nulla e la supplica inutile, se non si parla con Dio con timore e soggezione, con sincerità e vigilanza”, S. Evagrio il Pontico, Rerum monachalium rationes, ed. J. Cotelier, PG 40 1264 C, cap. XI. Sul “timore di Dio”, vedere Théologie pour tous (L’Harmattan, 2024), p. 119.[↩]
- S. Théol, I, q. 43, a. 6, resp.: mentre nella sua missione visibile (l’incarnazione), il Figlio è inviato come “Autore della santificazione” (sanctificationis Auctor), lo Spirito Santo è inviato come Dono santificante stesso (sanctificationis Donum); Gilles Emery op, ibid.[↩]
- “Donum autem est excellentissimum“, In Ioannem 14, lect. 4 (ed. Marietti, n. 1915), Gilles Emery op, ibidem.[↩]
- Ultime parole di Sui sentieri della metafisica (Simmetria, 2024).[↩]