Articolo non pubblicato in precedenza.
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
La visione offerta dal discorso metafisico puro è come quella di una mosca dietro un vetro. Partendo da ciò che la metafisica non è, questa è la conclusione a cui arriviamo.
Introduzione
Scoprire la metafisica è un’esperienza che ha lasciato il segno in molti individui di vario profilo1, ma tale esperienza non è priva di rischi. È ricordando ciò che la metafisica non è che questi rischi diventeranno più evidenti. Isolata, sospesa nel vuoto, staccata dalla sua fonte e dal suo scopo, una metafisica teorica di questo tipo rimane una visione, ma come quella di una mosca dietro un vetro.
La scoperta della metafisica
Questa suggestiva esperienza è quella dell’intelligenza che scopre se stessa e, una volta apparsa nella coscienza, ha rivelato il metafisico in agguato in ogni essere umano2).
Inosservata nelle operazioni quotidiane della mente, l’intelligenza appare come il complemento essenziale della ragione3. Se la ragione, potenza puramente mentale, calcola e ragiona sotto l’egida della logica, resta da capire questi calcoli e ragionamenti: questo è il ruolo primario dell’intelligenza, ben distinto da quello della ragione. Lasciata a se stessa, la ragione si esaurisce in un discorso chiuso in se stesso: questa è la riduzione razionalista, o la ragione che governa se stessa (kantismo), o che stabilisce classificazioni di parole e concetti a scapito del pensiero: questa è la riduzione concettualista, una trappola in cui sembrano cadere spesso la filosofia analitica e il riduzionismo strutturalista, una trappola in cui cadde a suo tempo il suo discorso (si veda l’articolo “Jean Borella, l’après structuralisme”).
Queste due istanze distinte, ragione e intelligenza, non sono la stessa cosa. Sotto potenza, una macchina sarà in grado di calcolare all’infinito; si tratta, più opportunamente ribattezzata, di IR, ragione artificiale4, l’energia mentale di cui l’umanità si è dotata dal 7 agosto 19445. D’altra parte, l’intelligenza non è sottomessa: “l’intelligenza, nel suo atto di intellezione, è perfettamente libera, e nessuna autorità, nessuna volontà, nemmeno la nostra, ha potere su di essa: non possiamo costringerci a comprendere ciò che non comprendiamo” (Simone Weil)6.
Ma se non possiamo costringerci a capire, è perché l’intelligenza è molto di più: è la ricezione di un significato che non può generare da sola. Così, pensare una cosa è certamente costruire un concetto, ma soprattutto è essere “intellettualmente afferrati da un senso, da un intelligibile, che ‘riconosciamo’ più che conoscerlo” (Jean Borella)((è questo ri-conoscimento che Platone chiama reminiscenza: “ciò che si chiama cercare e imparare non è assolutamente altro che ricordare”, Menone 81d (Opere di Platone, trans. V. Cousin, Parigi: Rey, vol. VI, 1849, p. 172). Il punto è che l’intelligibile supera il concepibile, e saremo guariti dalla tentazione razionalista7. In altre parole, abbiamo scoperto che un mondo di significato (un mondo semantico) trascende un mondo fisico (Platone), che è quindi solo l’immagine o il simbolo di qualcos’altro (Platone, Timeo, 29b), e che, inoltre, richiede una causa prima poiché, “se nulla è primo, assolutamente nulla è causa” (Aristotele)8 e, se non c’è una causa, non si può stabilire alcuna scienza (scientia est cognitio per causas: la scienza è conoscenza attraverso le cause), e quindi non è possibile alcuna conoscenza.
La metafisica non è universale
Infatti
La metafisica universale è la speranza delusa del XX secolo. Ecco una breve storia di un secolo che ha visto un “ritorno della metafisica”. René Guénon, attraverso il successo della sua critica del mondo moderno, delle sue esposizioni di metafisica e della sua codificazione dell’esoterismo, ha promosso brillantemente la rottura con il kantianismo e lo scientismo del XIX secolo e ha riaperto l’accesso a un’intellettualità sacra (le opere di metafisici universitari come Maurice Blondel e molti altri non hanno mai avuto una diffusione pari a quella di Guénon). Dopo Guénon, metafisici come Frithjof Schuon, Ananda Coomaraswamy, Titus Burckhardt e Leo Schaya hanno sviluppato metafisiche legate a fedi particolari (induismo, buddismo, islam ed ebraismo). Nel caso di Guénon e Schuon, è stata la metafisica indù (advaita vedānta, sāṃkhya) la fonte della costruzione di una metafisica teorica (Guénon9, Schuon10) e persino una religio perennis (Schuon), ma nessuno di loro è stato in grado di sviluppare veramente una metafisica corrispondente al cristianesimo11.
In linea di principio
Sebbene l’approccio metafisico sia universale, non esiste una metafisica universale formalizzata per diversi motivi.
La coesistenza dei punti di vista
La prima ragione è la coesistenza di punti di vista complementari (come il darśana indù), come gli approcci dell'”analogia dell’essere” (Tommaso d’Aquino) o dell'”esemplarismo divino” (Bonaventura), che non possono “né escludersi né coincidere” (Etienne Gilson). Se punti di vista razionalmente inconciliabili possono legittimamente coesistere, è perché la metafisica ultima sta al di là del concettuale, al di là del principio di non contraddizione, e quindi sfugge a una formulazione strettamente linguistica. Ciò è dimostrato quando Guénon stesso spinge troppo in là un linguaggio matematico d’insiemi che porta alla contraddizione (si veda l’articolo “La gnosi e le ‘possibilità della non-manifestazione’, René Guénon e la dottrina della creazione”). Inoltre, la più generale di tutte le metafisiche, la cosiddetta metafisica dell’essere, non solo viene declinata più volte secondo gli autori, ma, soprattutto, può essere essa stessa completata, se non sostituita, da una metafisica della relazione.
Non è l’intelligenza che sa, è l’uomo
Una seconda ragione è che, da sempre, “non è l’intelligenza a conoscere, ma l’uomo” (Aristotele). Heidegger, duemila e cinquecento anni più tardi, la metafisica la metterà in un altro modo: “non c’è domanda senza che l’interrogante stesso sia incluso nella domanda”12. Tutto il discorso metafisico è quindi in parte una questione di interpretazione individuale, e quindi di particolare, e persino di singolare. Lo stesso Filosofo (Aristotele) specificherà così che al mathein (“conoscenza teorica”) si unisce necessariamente un pathein (“esperienza vissuta”)13, i richiami a questi complementi erano comuni tra i Greci, e anche nella letteratura, che parla di “scienza [cioè conoscenza] a prezzo di sofferenza” (Eschilo, Agamennone, 177). Come abbiamo detto, ogni essere umano è un animale metafisico (Schopenhauer), il che comporta un gran numero di metafisici e di potenziali metafisici (formulazioni).
L’auto-abolizione della metafisica
Una terza ragione, forse la più fondamentale, risiede nel ruolo proprio della metafisica, che è quello di passare, attraverso l’intelligibile, dal concetto all’oggetto, di cui il concetto è solo l’immagine mentale o l’idolo (Gregorio di Nissa) e, una volta che il suo ruolo è stato svolto, una volta che la sua missione è stata compiuta, tutta la metafisica allora svanisce, si auto-abolizione14. Questo è ben lontano dal sistema chiuso, intangibilmente costituito.
La metafisica non è operativa in sé
Certo, c’è questa operatività relativa della metafisica, che favorisce il passaggio dal semplice concetto calcolabile all’intelligibilità delle cose o, osiamo dire, alla pura contemplazione di queste cose. Ma questa è la semplice funzionalità dell’intelligenza: essa è “in grado di ricevere l’intelligibile, così come il senso è in grado di ricevere il sensibile” (San Tommaso d’Aquino). L’intelligibilità del reale è unita all’intelligenza, che è il senso del reale, così come il salato ha significato solo per il gusto. La realtà semantica di un concetto, che costituisce il suo al di là linguistico, è il punto in cui esso è legato all’essere, al reale. È l’invisibile del linguaggio, a cui solo l’intelligenza può accedere (Borella).
D’altra parte, questa esperienza dell’intelligibile non è affatto un’unificazione ontologica, ma semplicemente un’identità cognitiva. Nella formula “l’anima è tutto ciò che sa” (Aristotele, Guénon), non dobbiamo dimenticare il “in qualche modo”, che tuttavia è stato chiaramente specificato all’inizio: questo “in qualche modo” fa la differenza tra un’unificazione ontologica e questa semplice identità conoscitiva 15, anche se questa identità conoscitiva rappresenta già molto. Così, parlando il suo linguaggio, il linguaggio che le è naturale, l’intelligenza può occuparsi naturalmente anche di cose soprannaturali, ma se è “a casa” in tutti questi campi, è perché non è naturalmente da nessuna parte 16. L’intelligenza arriva “dalla porta” o “dall’esterno”, si potrebbe dire (Aristotele).
Come si vede, questa identità (cognitiva) tra intelligenza e intelligibilità non deve essere abusata; non è gnosi. Il metafisico teorico è quindi come una mosca dietro un vetro. Può intravedere le cose, “in modo oscuro” (1 Corinzi XIII, 12), ma non supererà mai la barriera che separa la mosca dalla luce, la teoria dalla realtà.
Solo la grazia potrà guidarlo attraverso un varco e, spogliato di tutto, potrà diventare luce nella Luce, nel qual caso si parla di pneumatizzazione dell’intelletto (Borella).
Non deve quindi sorprendere, a prescindere dai loro discorsi metafisici teorici, che i famosi metafisici contemporanei Guénon, Schuon, Burckhardt e Schaya abbiano tutti sposato una sola fede: l’Islam, la religione più spoglia, la più centrata sull’unicità di Dio e, come tale, la più compatibile con la metafisica teorica.
Nel cristianesimo si parla di gnosi già a partire da San Paolo. Paolo (1 Cor. 1, 5) (dopo di lui, citiamo Ireneo di Lione (c.140-c.200), Clemente di Alessandria (c.150-c.215), Evagrio il Pontico (346-399), Fénelon (1651-1715), Borella (1930), solo per citarne alcuni).
E, seguendo Jean Borella, ecco cosa si può dire al riguardo:
In quanto tale, la vera gnosi non è una scienza ma una nescienza, perché in questa gnosi suprema è Dio che conosce se stesso, non appena l’intelligenza è perfettamente spogliata di se stessa. Solo la non-conoscenza può portare alla sovra-conoscenza: “Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non la conosce ancora nel modo in cui dovrebbe conoscerla” (1 Cor. VIII, 1-2). E la forza che sola può portare a questa necessaria rinuncia è la forza della carità, il che significa che “la carità è la porta della gnosi” (S. Evagrio Pontico, Lettera ad Anatolios, P.G., vol. XL, col. 1221 C.).
Secondo il desiderio di Cristo, si tratta di diventare uno come il Padre e il Figlio sono Uno, e l’Amore è l’unificazione che precede l’Unità; perché l’amore è la sostanza della gnosi, e la gnosi l’essenza dell’amore. La dimensione gnostica della Carità permette l’altruismo radicale dell’amore puro, e la Gnosi è centrata sulla Verità, l’unica Verità che dà. “La gnosi è l’asse verticale, immutabile e invisibile che la danza dell’amore avvolge come una fiamma” (Jean Borella, La charité profanée).
La preghiera è quindi l’unica attività che si addice alla dignità dell’intelletto, l’atto con cui l’intelletto realizza la sua natura deiforme. La preghiera è dunque gnosi; “è l’intelletto che prega nella conoscenza e conosce nella preghiera” (Sant’Evagrio il Pontico, Centuries IV, 43); la conoscenza è la preghiera dell’intelletto. Preghiera e gnosi sono quindi i due pioli della scala di Giacobbe che si incontrano nell’infinito di Dio.
Se ci sono delle tappe in questa scala spirituale, sono quelle della spogliazione: desideri del corpo, passioni dell’anima, pensieri dello spirito. Così, le virtù del corpo (somatiche) possono condurre per grazia alle virtù dell’anima (psichiche), le virtù dell’anima alle virtù spirituali (pneumatiche) e le virtù spirituali alla gnosi essenziale.
L’amore e la gnosi sono l’origine e la fine del cammino. Avendo raggiunto Cristo, la Gnosi eterna del Padre, attraverso la carità, partecipiamo alla sua effusione d’amore, che è lo Spirito Santo. L’intelletto, unificato dalla carità, “è elevato a dignità infinita, dignità che possiede in virtù della sua stessa natura intellettuale”. E “l’intelletto nudo è quello che si consuma nella visione di se stesso e che ha meritato la comunione nella contemplazione della Santa Trinità” (Padre Hausherr, Lezioni di un contemplativo).
Solo “la nudità dell’intelletto, o l’ignoranza infinita (Sant’Evagrio), o la nube dell’inconoscibilità (San Denis) rappresentano il modo non modale in cui la creatura può diventare immanente alla trascendenza divina”. E “questo modo non modale è il grado più alto della carità” (Borella, ibid.).
E “finché l’intelletto non è Dio, la sua luce non è la vera Luce”. Deve rendersi conto della propria sostanza non divina, cioè della propria ignoranza ontologica. “La Beata Vergine conosceva questo segreto, lei che era la pura tenebra in cui la Luce del Mondo prese carne” (Borella, ibid.)17.
Note
- cfr. Xavier Accart, Guénon ou le renversement des clartés : influence d’un métaphysicien sur la vie littéraire et intellectuelle française, 1920-1970 (Paris, Édidit, 2005).[↩]
- “L’uomo è un animale metafisico”, dice Schopenhauer, cfr. cap. XVII dei Supplementi a Il mondo come volontà e rappresentazione. Aggiunge: “questo bisogno metafisico dell’uomo, che, potentissimo e incancellabile, viene subito dopo il bisogno fisico” (ibid.[↩]
- vedi l’articolo: “Ragione e intelligenza, le due facce della mente”[↩]
- si veda l’articolo “L’IA smascherata”[↩]
- messa in funzione del “Calcolatore Automatico di Sequenze” o Mark 1. In precedenza, l’uomo si era dotato solo di energia meccanica o termodinamica: fuoco, animali da tiro, vapore, petrolio, elettricità, energia atomica.[↩]
- Analogamente, Moore scrive: “non possiamo assolutamente pensare ciò che non possiamo pensare”, cfr. The Evolution of Modern Metaphysics: Making Sense of Things, Cambridge University Press, 2012. O Gaston Bachelard: “la comprensione è un’emergenza della conoscenza”, Le rationnalisme appliqué, Paris: PUF, 1949, p. 19[↩]
- vedi l’articolo: “Filosofia e scienza, apertura e chiusura del concetto”[↩]
- Metafisica L a, c.2.[↩]
- Ad esempio Gli stati multipli dell’essere (1932).[↩]
- Ad esempio Résumé de métaphysique intégrale (1985) o Logique et transcendance (1970).[↩]
- si veda l’articolo: “Jean Borella, sull’unità analogica delle religioni.”[↩]
- Was ist Metaphysik? (Che cos’è la metafisica), 1929, pubblicato per la prima volta in francese in un’antologia di testi di Heidegger da Gallimard nel 1938.[↩]
- Dato come gioco di parole di Aristotele riportato da Sinesio di Cirène, (cfr. N. Turchi, Fontes Historiae Mysteriorum Aevi Hellenistici, Roma, 1930, n°83, p. 53; Borella Lumières de la théologie mystique, p. 85.[↩]
- Si veda l’articolo: “Metafisica come antidogmatismo e come non-sistema”[↩]
- Vedi l’articolo: “Metafisica, il linguaggio del silenzio”[↩]
- Jean Borella, Ésotérisme guénonien et mystère chrétien, l’Age d’Homme, Losanna, 1997, p. 66.[↩]
- Estratto da Introduction à une métaphysique des mystères chrétiens, en regard des traditions bouddhique, hindoue, islamique, judaïque et taoïste, L’Harmattan, 2005, Introduction, p. 24.[↩]