Articolo del 2023, pubblicato qui per la prima volta.
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
Mentre l’approccio metafisico è universale e inerente a tutta la teologia, la metafisica, in quanto tale, non può esserlo. Questo articolo chiarisce i legami tra metafisica e teologia e mette in discussione una metaphysica perennis schuoniana e l’identità guénoniana di essere e sapere nella condizione umana.
È sempre possibile entrare nella mente di un autore e assaporare il suo genio – sia esso il genio razionale di un Kant o quello metafisico di un Guénon o di uno Schuon. Ma non è mai vietato uscirne, tanto più se questo genio rifiuta giustamente qualsiasi discepolo (Guénon). Così, senza rinunciare al contributo del loro genio, possiamo rimproverare a un Kant il suo torpore critico, a un Guénon la sua ignoranza del cristianesimo o a uno Schuon la sua unità trascendente delle religioni1 (Borella)2.
In questo caso, dobbiamo denunciare la trappola di una metafisica che si pone al di sopra delle religioni e, significativamente, tale approccio sembra essere espresso nella formula “theologia sine metaphysica nihil“3 (la teologia senza metafisica è nulla). Certo, il punto è meno violento di quanto sembri quando ci si rende conto che la teologia è intrinsecamente metafisica. Si pensi, ad esempio, alla Trinità, che dice molto di più di “Dio è Padre” o “è uno” (cosa che molte altre religioni hanno giustamente affermato), specificando che “Dio genera eternamente Dio”, che “è Figlio” e, in particolare, che le Persone che la compongono sono pure Relazioni (Padre, Figlio) mentre la Relazione d’Amore e di Dono è, essa stessa, una Persona (Spirito Santo) – relazioni che ovviamente sussistono, altrimenti affermeremmo tre dei. Ciò che è fondamentale qui è la possibilità di passare da una metafisica dell’essere a una metafisica della relazione: Ens et Relatio convertuntur (Essere e relazione convergono), si potrebbe dire, se si volesse dotare la formula, in latino, di autorità. Non mancano altri esempi eminentemente metafisici, come l’annuncio di Cristo che “Dio sarà tutto in tutti” (1 Corinzi XV, 28), e così via. E si tratta di una metafisica intrinseca ai misteri cristiani, che scaturisce direttamente da essi, anche congiuntamente, e che in nessun altro luogo avrebbe potuto sorgere.
Ignorare questa componente metafisica, che è comunque parte integrante della teologia, sarebbe già un errore. Ma un errore ancora più grave sarebbe quello di credere che una metafisica possa tranquillamente supplire alle carenze della teologia dall’esterno. Questo “fuori” sarebbe in realtà “sopra”, una sporgenza; prenderebbe in prestito l’occhio di Dio o crederebbe di farlo. La gravità di questo errore sta nell’illusione in cui intrappola chi lo commette; in particolare, quella di credere che il concetto di gnosi equivalga a una gnosi effettiva, mentre il concetto di acqua non disseta più di quanto il concetto di fuoco bruci.
L’obiettivo di questo articolo è quello di chiarire i legami tra metafisica e teologia.
Teologia.
Se nessuna teologia può essere canonica, nemmeno quelle dei “due gloriosi Dottori, l’angelico San Tommaso e il serafico San Bonaventura” (Sisto V, Bulla Triumphantis, 1558), è perché sono tutte questioni di interpretazione. Inoltre, le loro due metafisiche si completano a vicenda, ma non possono “né escludersi né coincidere” (Etienne Gilson).
Prima viene la Rivelazione, con i suoi misteri, e anche i Vangeli sono secondo Marco, Luca, Matteo o Giovanni. Poi viene la dogmatica, la formulazione intangibile di questi misteri e, infine, le teologie che meditano e interpretano al meglio questi misteri.
Metafisica.
Esistono certamente metafisiche particolari (analogia dell’essere, esemplarismo divino, per citare quelle dei due dottori citati), ma la metafisica è innanzitutto un linguaggio. È il linguaggio dell’intelligenza, che formula nel modo più definitivo i misteri che abbiamo incontrato – e che rimangono tali. Se l’approccio metafisico è quindi universale, non esiste una metafisica universale, contrariamente a quanto si può leggere su4. La metafisica stessa è in parte una questione di interpretazione, e quindi di particolare, se non di singolare5. Inoltre, la metafisica più generale che esiste, la suddetta metafisica dell’essere, non solo si declina all’infinito secondo gli autori, ma soprattutto, come abbiamo detto, può essere essa stessa completata, se non sostituita, da una metafisica della relazione.
Non solo non esiste una metafisica universale in quanto tale, ma essa non può costituirsi come tale senza contraddirsi6. Infatti, una metafisica dogmatica o che si pone come sistema, chiusa in qualche modo in se stessa, ha perso il suo ruolo fondamentale che è quello di aiutarci a passare dal concetto all’oggetto di cui il concetto è solo l’immagine mentale. Una volta che il suo ruolo è stato assolto, una volta che la sua missione è stata compiuta, tutta la metafisica svanisce, diventa autolesionista.
Da questo punto di vista, si deve ammettere la metaphysica ancilla theologiæ, allo stesso modo della philosophia ancilla theologiæ, poiché né la ragione naturale né l’intuizione intellettuale sono illuminate dalla grazia o dalla rivelazione, a meno che l’intelletto non sia pneumatizzato (o spiritualizzato), cosa che non è in alcun modo in potere dell’uomo.
Il sentiero del sacro.
Diamo un breve sguardo alla struttura del sacro. La prima distinzione, ancora visibile in epoca moderna, è tra sacro e profano (ad esempio, tra Notre-Dame e la Torre Eiffel). All’interno del sacro, c’è il movimento “più interiore” che è l’esoterismo7. Si può dire che queste sono state “superate” dalla metafisica, nella misura in cui quest’ultima ha raggiunto una formulazione raffinata che può persino, a volte e in parte, mostrare una relativa unità tra le diverse religioni8.
Ma non bisogna dimenticare né la fonte né il fine di questa sacralità. La fonte è ovviamente il Revelatum; senza il Revelatum, quale metafisica, quale soggetto?9 E la fine, la finalità, può senza dubbio essere chiamata gnosi, ma questa eventuale gnosi non è metafisica, tutt’altro. Se la gnosi si verifica, è perché, da un lato, la metafisica ha abolito se stessa per farle posto e, dall’altro, perché lo Spirito è stato disposto a respirare. Ridurre la gnosi alla metafisica significa credere di comandare lo Spirito; significa, in ultima analisi, confondere lo psichico con lo spirituale, cosa che pensavamo di stare attenti a non fare. È anche, molto semplicemente, togliere la propria indipendenza da Dio; è pensare di non avere bisogno di Dio.
Certo, la tripartizione umana è corpus-anima-spiritus, il che ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che l’intelligenza non è il vertice dell’uomo, ma questo spiritus non è operativo da e per sé; è, per essenza, ricettivo.
Questa ricettività fondamentale dello spirituale ha il suo doppio nell’anima, soprattutto nella distinzione tra ragione e intelligenza. La ragione calcola e ragiona secondo i dettami della logica, mentre l’intelligenza è pura ricettività. È uno specchio (speculum in latino)10, riflette le Idee (Platone), ed è quindi il senso della realtà, così come la dolcezza ha senso solo per il palato (Borella). E se capiamo, è solo perché siamo dotati di questa ricettività11, perché il senso ha senso. In altre parole, non siamo grandi perché capiamo, ma perché siamo ricettivi.
A questo livello della psiche, ci rendiamo certamente conto che l’intelligibile supera il concepibile, ma anche che l’intelligibile stesso può essere superato dallo spirituale12. Ma non è solo l’intelligenza che può condurci sull’orlo della gnosi, anche l’amore può farlo; e qui troviamo le esperienze e gli insegnamenti particolari di San Tommaso d’Aquino – che può dire che tutta la sua opera, per quanto colossale e ineguagliabile, non è altro che paglia rispetto alla gnosi – e di San Bonaventura, che ha seguito fino in fondo la gnosi e la via dell’amore di San Francesco d’Assisi. E queste due vie non si escludono ma convergono, nel cristianesimo come nell’induismo e altrove.
Da questo punto di vista, non solo la metafisica non è gnosi, ma non è nemmeno l’unica via per la gnosi. Di conseguenza, affermando l’identità fondamentale di sapere ed essere si corre un grande rischio.
- Se si tratta dell’Essere assoluto, è ovvio che Egli è altrettanto Essere, conoscenza, amore, relazione, ecc. e persino Non-Essere (Guénon) o Super-Essere (Schuon), poiché è la causa dell’Essere o poiché l’Essere è solo la sua affermazione sui causa;
- Se si tratta di dire che l’intuizione intellettuale (la sua ricettività fondamentale) è l’accesso alla realtà, che l’intelligenza è il senso dell’essere, la causa è sempre stata compresa;
- D’altra parte, se crediamo che ci sia una realizzazione effettiva, che ci sia identità ontologica tra il conosciuto e il conoscente, questo è un errore.
Conoscenza sacra
Non dobbiamo confondere l’identità cognitiva con l’identificazione ontologica delle realtà identificate. Io non divento la rosa che conosco; c’è semplicemente un “sequestro di un’essenza astratta dalla cosa conosciuta dall’intelligenza nell’atto dell’intellezione”13.
Se la conoscenza non può unire l’essere conoscente con l’essere conosciuto, è perché, “nel suo stesso atto, non è né l’uno né l’altro”, è quella “possibilità miracolosa” in cui l’essere conosciuto e l’essere conoscente escono dal loro situs esistenziale e si aprono l’uno all’altro in un nulla. È “un’apertura, un ‘giorno’, alla luce del quale gli esseri e i mondi possono miracolosamente liberarsi dalla loro solitudine ontologica ed esistere gli uni per gli altri”.
La conoscenza adamitica, quella di Adamo prima della caduta, invece, è ben diversa: essere e conoscere sono inseparabili. Questo è “uno dei significati dell’ignoranza (voluta da Dio) del ‘frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male’, con cui si intende la conseguenza di un’attualizzazione della dualità in quanto tale, cioè della sua potenzialità separativa”. In questo caso, l’atto di contemplazione è interamente rivolto al Cielo e ogni considerazione degli stati inferiori è ignorata.
Il peccato originale è il desiderio di conoscere gli stati infraumani (infraparadisiaci), per conoscere se stessi come tali. L’uomo caduto smette allora “di essere all’altezza della sua nobiltà teomorfa”, subisce le sue determinazioni e “perde la chiave sofistica della conoscenza, che cessa di essere operativa”.
La dimensione speculare della conoscenza rimane ora nel nostro mondo, ma ridotta a se stessa, in una modalità puramente speculativa e unicamente riflessiva. All’uomo non resta che questa “memoria intellettiva, diretta e intuitiva dei principi e degli elementi metafisici, che è ciò che chiamiamo philosophia perennis“.
Questa conoscenza inefficace – inoperosa – richiede un ricentramento ontologico (“l’uomo ha perso la sua centralità; il mondo non è più concentrico con lui”). Solo Dio può provvedere a questo, e la Croce, essenzialmente, segna il posto giusto. Il ruolo dell’uomo è innanzitutto quello di riconoscere la sua ignoranza ontologica: “l’intelligenza deve imparare a chiudere gli occhi” (San Dionigi l’Areopagita) su ciò che, in ogni caso, è al di là dell’occhio (Malebranche).
Note
- Frithjof Schuon, De l’unité transcendante des religions (1948), recentemente pubblicato da L’Harmattan, 2014. Un titolo originariamente previsto: “De la convergence des formes traditionnelles” (Sulla convergenza delle forme tradizionali) avrebbe suscitato meno polemiche. Va notato che questa critica, più di ogni altra, non sminuisce in alcun modo il genio di Schuon.[↩]
- Queste tre recensioni si trovano, tra l’altro, in La crise du symbolisme religieux, Ésotérisme guénonien et mystère chrétien e nella postfazione a Bruno Bérard, Introduction à une métaphysique des mystères chrétiens.[↩]
- Titolo di un articolo (Études Traditionnelles, gennaio-marzo 1986, pp. 25-27) e di un libro di Elie Lemoine pubblicato a Parigi dalle Éditions Traditionnelles nel 1991.[↩]
- Ad esempio: “essendo la metafisica universale (questo è il suo carattere più essenziale)”, Elie Lemoine, op. cit. p. 43. Si tratta di Fratello Élie (Adolphe Levée, 1911-1991), noto come “Un moine d’Occident” (un monaco dell’Occidente) o “Portarius” (il guardiano della porta), questo monaco dell’abbazia di La Trappe, famoso per il suo Doctrine de la non-dualité (advaïta-vâda) et christianisme : jalons pour un accord doctrinal entre l’Église et le Vedânta (Dervy, 1982) (“La dottrina della non-dualità (advaita-vâda) e il cristianesimo: pietre miliari per un accordo dottrinale tra la Chiesa e il Vedânta”) a favore dell’ecumenismo[↩]
- Come notava Heidegger, e prima di lui Aristotele, la metafisica coinvolge il metafisico che la pensa (“non c’è domanda senza che l’interrogante stesso sia incluso nella domanda”, Was ist Metaphysik? (1929), trans. Henri Corbin, Heidegger, Qu’est-ce que la métaphysique? Nathan/HER, 2000. L’uomo, ogni essere umano, è un animale metafisico, scriveva Schopenhauer, il che significa che ci sono molti metafisici che non sono consapevoli di se stessi, e molta potenziale metafisica[↩]
- Cfr. Bérard, “La métaphysique comme antidogmatisme et comme non-système”, Qu’est-ce que la métaphysique? L’Harmattan, 2010, “La metafisica come anti-dogmatismo e non-sistema”, trad. Aldo La Fata, Il Corriere Metapolitico, IIIe année, n°9, déc. 2019.[↩]
- In termini pratici, dovremmo inizialmente abbandonare l’opposizione tra exoterismo ed esoterismo, come domini costituiti, perché, mentre questa opposizione ha una certa realtà nell’Islam (sufismo), è ben lontana dall’averne una universalmente, e non ne ha affatto nel cristianesimo. D’altra parte, l’esoterismo come movimento di approfondimento o di riunione dei misteri, con il suo gioco di simboli e di risonanze interreligiose, ha una sua realtà – e un suo posto.[↩]
- Ad esempio, l'”estinzione” indicata dal “nirvāna” del buddismo e dall'”al-fanā” dell’Islam, riguardante tutto ciò che si afferma illusoriamente come reale al di fuori dell’unico Reale, poiché non c’è altro Dio che Dio.[↩]
- È la rivelazione attraverso la religione (le Scritture, la Chiesa e la tradizione nel cristianesimo) che rende ampiamente nota l’esistenza di Dio. Inoltre, farne a meno, se tutti lo fanno, significa farlo scomparire per coloro che lo seguono.[↩]
- “Oggi vediamo con uno specchio, in modo oscuro” (1 Corinzi XIII, 12).[↩]
- Non possiamo forzarci a capire ciò che non capiamo”, diceva Simone Weil, citata da Jean Borella, La crise du symbolisme religieux, p. 291. Analogamente, Moore scrive: “non possiamo assolutamente pensare ciò che non possiamo pensare” (cfr. The Evolution of Modern Metaphysics: Making Sense of Things, Cambridge University Press, 2012). Oppure Gaston Bachelard: “la comprensione è un’emergenza della conoscenza”, Le rationnalisme appliqué, Paris: PUF, 1949, p. 19, corsivo mio.[↩]
- “Poiché la maggior parte delle verità di ordine soprannaturale, oggetto della nostra fede, superano di gran lunga le capacità di ogni intelligenza, la ragione umana, conoscendo la sua infermità, deve guardarsi dal pretendere più in alto di quanto possa” (Leone XIII, Æterni Patris), tradotto dal francese.[↩]
- Seguiamo Jean Borella, “La religio perennis n’est pas une religion”, René Guénon, Frithjof Schuon, Héritages et controverses, collettivo, L’Harmattan, 2023.[↩]