Questo articolo è stato scritto in risposta a una domanda posta dalla fondazione Philos-Sophia Initiative nel gennaio 2022: tutta la metafisica non dovrebbe essere incentrata sul Logos?
Tradotto dal francese da Aldo La Fata e Letizia Fabbro.
La semplice definizione di metafisica ci porta a capire che la metafisica è per sua natura centrata sul Logos. Ma non è forse lo Spirito Santo che rivela il Figlio a cui possiamo rivolgerci?
Introduzione
La semplice definizione di metafisica (parte 1) ci permette di capire che la metafisica è centrata sul Logos per necessità esistenziale. Tuttavia, non è forse lo Spirito Santo che rivela il Figlio a cui possiamo rivolgerci (parte 2)?
Prima di presentare che cos’è una metafisica centrata sul Logos, è senza dubbio utile ricordare che cos’è la metafisica, o almeno la definizione che usiamo qui1.
Che cos’è la metafisica?
La storia di una parola e di un soggetto
Se Platone ha stabilito il riferimento speculativo della metafisica una volta per tutte, la parola stessa deriva dall’opera di Aristotele, che ha stabilito il linguaggio concettuale della scienza una volta per tutte, dando alla metafisica il suo carattere di nobiltà.
È importante qui ricordare i tre significati della parola greca meta: “dopo”, “oltre” e “trans(formato)”, significati che avranno un ruolo istruttivo in ciò che segue.
Il singolo termine “metafisica” non si trova nell’opera di Aristotele, dove l’argomento è chiaramente definito. In realtà, la sua comparsa è piuttosto tardiva, dal momento che compare per la prima volta nel catalogo delle opere di Aristotele redatto dall’Anonimus Menagii, molto probabilmente Esichio di Mileto (VI secolo d.C.), anche se Aristotele scrisse i quattordici libri ad essa relativi nel IV secolo a.C. Alcuni potrebbero aver pensato che ta meta ta phusika (di Niccolò di Damasco, I secolo a.C.) volesse semplicemente significare che l’opera di Aristotele sulla metafisica doveva essere intesa nel suo insieme, ma voleva solo dire che questi testi dovevano prendere posto “dopo le cose che riguardano la fisica”; eppure l’intenzione dottrinale metafisica di Aristotele è fermamente stabilita (per non parlare del fatto che i libri di metafisica dovevano essere collocati, da Aristotele stesso, dopo i testi di matematica)!
Così, dopo aver designato specificamente i libri di Aristotele fino al Medioevo, la “metafisica” designò rapidamente e appropriatamente la scienza filosofica di ciò che è al di là delle realtà fisiche, o di ciò che le precede, per dirla con le parole di Aristotele:
La conoscenza di questa [la cosa indipendente immobile] precede quella [le cose naturali composite] ed è la prima filosofia, ed è proprio in questo modo che è universale, perché è la prima. E appartiene a questo tipo di filosofia studiare l’essere in quanto essere, sia ciò che è sia ciò che gli appartiene per il solo fatto di essere.
Aristotele2
Come vediamo qui, la metafisica di Aristotele comprende innegabilmente due argomenti: l’essere in quanto essere e l’essere primario:
- Se ciò che precede la fisica non è protofisica, è perché abbiamo qui il significato di “trans”: il latino transformatio traduce esattamente il greco metamorphôsis; inoltre, San Tommaso d’Aquino usa talvolta transphysica per designare le realtà metafisiche. Questo è coerente con la “filosofia prima” o “teologia”, cioè la scienza dell’Essere primo o dell’Essere divino. E in effetti, “filosofia prima” o “teologia” descrivono adeguatamente diversi libri del fondatore del Liceo. La quasi equivalenza tra metafisica e filosofia prima è illustrata dai titoli inglesi e francesi di Descartes: “Méditations sur la philosophie première” e Méditations métaphysiques (il titolo originale latino è “Meditationes de Prima Philosophia”, Parigi, 1641).
- L’essere in quanto essere, distintamente, non riceve un nome scientifico specifico nei libri di Aristotele, ma conferisce chiaramente al meta i due significati di “dopo” (una volta notati gli esseri fisici, dopo viene la domanda: che cos’è l’essere?) e “al di là” (l’essere in quanto essere è al di là di ogni essere fisico).
Mentre oggi riconosciamo in quest’ultimo argomento ciò che la scienza moderna ha chiamato ontologia (Clauberg, 1647), né l’Antichità né il Medioevo vedevano la necessità di separare due punti di vista necessariamente combinati, senza tuttavia confonderli ma anzi riconoscendo che sono intimamente legati.
A prescindere dalle successive discussioni sulla gerarchia di questi oggetti e sulle scienze che vi si riferiscono (da Suarez a Gilson, passando per Kant e Heidegger), va detto che la metafisica, così come è stata letta fino ad oggi, comprende ancora necessariamente i due temi dell’essere primario e dell’essere in quanto essere.
Sulla possibilità della metafisica
Due eminenti pensatori hanno cercato di dimostrare l’impossibilità della metafisica (Kant) o il suo fallimento storico (Heidegger).
In effetti, la critica kantiana e post-kantiana, fuorviata dalle sue fantastiche costruzioni intellettuali, pretende di fissare a priori un limite alla conoscenza nella conoscenza stessa. Ma quale conoscenza potrebbe conoscere il limite della conoscenza? Come se un occhio potesse vedere il limite (la frontiera) della sua visione. È una pura contraddizione! In linea con l’intero progetto della Critica della ragion pura. Qui, “la ragion pura si occupa solo di se stessa”, e “ciò che limita deve essere diverso da ciò che è limitato” (il mare non limita il mare), scrive Kant, quindi la ragione non può limitare la ragione, che era lo scopo illusorio della Critica – a meno che la ragione non vada oltre se stessa, come se fosse illuminata da una Ragione assoluta (divina). Così, contrariamente alla Critica, se possiamo prendere coscienza dei limiti dei condizionamenti umani ed esistenziali, è perché “questi limiti sono estrinseci e la conoscenza ha una sua interna illimitatezza” (Borella):
Allo stesso modo, l’intelligenza non può trarre il limite del suo potere intellettivo, a meno che non lo superi, e quindi si contraddice. Quindi dobbiamo conviverci; siamo condannati al logos, anche al logos infinito (divino). Al di là della luce della nostra intelligenza, c’è la Fonte infinita. Ecco perché, nella sua stessa essenza, la luce intellettiva è metafisica. In questo senso, la metafisica non è né un lusso filosofico, né una vana esaltazione, né una pretesa illusoria: deriva dalla consapevolezza della natura stessa dell’intelletto. […]. È vero che questa consapevolezza non è facile. Viviamo e ci muoviamo nel logos, come un pesce nell’acqua. Tuttavia, spetta alla mente essere consapevole; non è quindi impossibile prendere coscienza del carattere “miracoloso” dell’atto spirituale, che è l’atto dell’intelligenza.
Jean Borella3.
La critica di Heidegger a tutta la metafisica che lo ha preceduto, da Platone all’epoca moderna, consiste nel denunciare il fatto che questa scienza non ha mai raggiunto il vero essere; si è ridotta, a suo avviso, a un’ontoteologia limitata (termine probabilmente coniato da Kant), dove Dio appare come un semplice essere. La verità è stata facilmente ristabilita (formalmente da Etienne Gilson): Dio non è un essere, ma è “l’atto puro dell’essere” (actus purus essendi, come si esprime ad esempio S. Tommaso d’Aquino) o, più frequentemente, la Causa trascendente di tutto l’essere. Dio, come primo essere, è semplicemente l’autoaffermazione della Causa che precede ogni essere, anche il primo.
La pratica della metafisica: ragione o intelligenza?
Se Kant non vede la possibilità di una metafisica, è perché è convinto che la ragione sia la più grande capacità di conoscenza, che la rigorosa costruzione razionale sia un mezzo insuperabile. In linea con i tempi, è stato il primo filosofo a porre la ragione (Vernunft) al di sopra dell’intelligenza (Verstand). Tuttavia, la ragione è solo uno strumento, mentre l’intelligenza dirige e governa. La ragione calcola (un “libro della ragione” era un libro contabile) o ragiona, il che equivale alla stessa cosa, mentre l’intelligenza comprende il calcolo o il ragionamento. La ragione è tanto limitata quanto l’intelligenza è illimitata. Anzi, è doppiamente limitata: limitata dall’oggetto su cui deve ragionare e dalla logica a cui deve attenersi, nel caso in cui porti a una contraddizione o a un paradosso. In questo modo, la ragione è racchiusa nei propri limiti, anche se la costruzione rimane la sua forza motrice. La conseguenza inevitabile è che si arriva a sistemi in cui la ragione si richiude per sempre, portando con sé la persona che sta ragionando.
L’intelligenza, al contrario della ragione, è pura apertura alle cose o agli esseri, così come l’occhio è aperto a ciò che è visibile. Si arriva a dire che le cose non sono pensate, ma che si pensano da sole nell’intelligenza della persona. È per questo che non ci si può costringere a capire qualcosa che non si capisce (Simone Weil); è ciò che Platone chiamava conoscenza per reminiscenza o che la filosofia classica chiamava conoscenza per partecipazione. Qui non c’è costruzione; qui non possiamo sentirci sicuri all’interno di un sistema razionale; qui non c’è una comoda certezza. Addirittura, visto dall’impero della razionalità, c’è il regno dell’incertezza, ma un’incertezza ineffabile. Lì la metafisica invita al misticismo; lì la speculazione (speculum, in latino) incontra la rivelazione, anche se di tipo platonico; lì, infine, la conoscenza può diventare gnosi. E questo, crediamo, è lo scopo fondamentale della metafisica: aprire l’intelletto a un’epifania dello Spirito, offrire il potenziale legame tra le realtà esistenziali e l’unica Realtà, permettere la necessaria pneumatizzazione dell’intelletto, se questa è la volontà dello Spirito.
Il linguaggio della metafisica
Contrariamente a certe idee preconcette sulla metafisica e sulle religioni, non esiste una sovrametafisica, una “unità trascendente”, una “Religio perennis”, una “Sophia perennis” o un “Re del mondo”, che ci obbligherebbe a metterci nei panni di Dio, a guardare dall’alto in basso le religioni e a credere nel nostro potere intellettuale. Inoltre, questa cosiddetta “sovra-religione” non ha bisogno di alcuna rivelazione specifica in sé; in realtà, è semplicemente una costruzione dal basso verso l’alto, una proiezione mitologica di un concetto (per quanto attraente possa essere prima di essere pensato). Avrebbe più senso un’unità immanente o, meglio ancora, un'”unità analogica delle religioni” (Borella), che rimarrebbe unica nella sua forma e nel suo linguaggio.
Ciò significa che la metafisica non fornisce un linguaggio supremo superiore a quello delle religioni. Quindi, se la metafisica è veramente un’epifania dello Spirito, il linguaggio di una religione (rivelata) è adeguato per esprimere nozioni metafisiche universali (ultime), e viceversa.
Che cos’è una metafisica centrata sul Logos?
Ora pensiamo che la parola “metafisica” e ciò a cui si riferisce non potrebbero essere più chiari. Sappiamo anche quale facoltà è all’opera (intelligenza o intelletto) e quale linguaggio possiamo usare (religioso o non religioso). È quindi giunto il momento di vedere come potrebbe essere una metafisica incentrata sul Logos.
L’irruzione del Logos nella storia umana
Come abbiamo visto, la possibilità di una metafisica sta nel fatto che l’essere umano “vive e si muove nel logos, come un pesce vive nell’acqua” (Borella). La luce della nostra intelligenza è la Fonte infinita, che in termini cristiani è “la Luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo” (Gv 1,9). È chiaro quindi che qualsiasi metafisica può esistere solo se il Logos fa parte dell’equazione. Tuttavia, c’è stato un momento unico nella storia dell’umanità: è stato quando il Verbo, “e il Verbo era Dio” (Gv 1,1), il Logos stesso, “si è fatto carne” (Gv 1,14). Questo evento si fonda sull’identità verticale di Cristo-Parola-Figlio, vale a dire che all’interno della Trinità, nel momento eterno della creazione e attraverso l’incarnazione, è all’opera la stessa “Persona”. In quanto tale, il Logos divino non è un evento filosofico in sé e non ha equivalenti nella filosofia, ma ha effettivamente, che ci si creda o meno, relativizzato la filosofia. La filosofia si è così affermata nel suo ordine, dove non deve annegare nell’indefinitezza del suo stesso discorso (sia esso l’antico discorso sofistico o i suoi equivalenti più moderni: i discorsi kantiani, hegeliani, heideggeriani, derridiani, ecc.)
Il Logos, attraverso l’identità verticale (Cristo-Parola-Figlio) è l’asse dell’universo; l’universo ruota intorno a Lui e tutto il pensiero, cercando di sfuggire alla trappola della ragione, si rivolge semplicemente verso di Lui.
Un simile Logos “verticale” si trova in altre tradizioni e lingue. È puruṣa e buddhi nel sāṃkhya. Buddhi, nell’advaita vedānta, corrisponde specificamente all’intelletto (Vijñānamayakośais). Nel sufismo, Ibn ‘Arabī distingue i tre livelli del Logos, definito come al-haqiqa al-Muhammadiyya (la realtà metafisica di Maometto):
- in relazione al Principio (o Super-Essere), il Logos è il primo grado dell’Essere, la perfetta teofania di Dio, nel grado stesso dell’Essere assoluto;
- in relazione al mondo esterno, il Logos è la causa prima della sua esistenza, evoluzione e conservazione;
- in relazione all’essere umano e al suo destino finale, il Logos è lo strumento efficace della sua evoluzione spirituale e del suo destino eterno. È la fonte della profezia e l’origine della santità (nubuwa e walaya).
Le “due mani” di Dio
Tuttavia, se tutta la metafisica è centrata sul Logos per necessità esistenziale, è coinvolta un’altra “persona”. Questa persona è ciò che rende la metafisica una “epifania dello Spirito” (Borella). Siamo qui in presenza delle “due mani di Dio”, come dice sant’Ireneo, in modo puro.
Queste due “mani” si vedono lungo tutto l’asse verticale.
- All’interno dell’unico Dio dispiegato nella Trinità, la Persona del Figlio è la pura relazione di filiazione; Egli mostra che una Persona è una Relazione. D’altra parte, ciò che unifica le Persone del Padre e del Figlio è la Relazione di dono e di amore, e questa stessa Relazione mostra di essere una Persona, che nel cristianesimo si chiama Spirito Santo. Questo stabilisce in divinis la commutabilità tra Persona e Relazione.
- Ora, Dio crea attraverso il Verbo. È una creatio ex nihilo sui et subjecti, cioè non esistevano prima né forma né materia. Quindi Dio crea attraverso la Parola, bene; ma dove crea? Nello Spirito Santo! Lo spazio è il “sensorium Dei” di Newton, un’immagine dell’immanenza di Dio che coesiste con la sua assoluta trascendenza.((Per essere precisi, la materia non è creata in sé. Non è oggetto di un atto di creazione in quanto tale, ma “sostiene” necessariamente la creazione di qualcosa; è quindi concretizzata. Per San Tommaso d’Aquino, in particolare, la materia prima non è oggetto del suo stesso atto di creazione (perché creare è creare l’essere, e la materia prima non è, di per sé, un essere; la materia è quindi concretizzata piuttosto che creata).
- Sulla Terra, Cristo si incarna, ma lo Spirito Santo non è mai lontano: è presente fin dal momento della concezione verginale e si dispiega dopo la resurrezione, a Pentecoste. Ecco perché ci rivolgiamo al Sole mentre ci immergiamo nello Spirito.
E queste sono le due strade che portano a Dio: l’Intelligenza attraverso il Figlio, l’Amore attraverso lo Spirito. Una è la Verità, l’altra la Carità. Non possono essere l’una senza l’altra. Non c’è Intelligenza senza Carità, non c’è Verità senza Amore 4.
Per questo, in metafisica, possiamo usare il linguaggio cristiano: rivolgerci a Cristo ci apre allo Spirito Santo; oppure possiamo adottare un linguaggio più generale: ci rivolgiamo alla trascendenza, e l’immanenza può manifestarsi.
Ma non è forse vero anche il contrario: lo Spirito Santo ci rivela il Figlio a cui possiamo rivolgerci?
In definitiva, i due, insieme, sono la luce dell’intelletto e del mondo.
Per questo la metafisica è necessariamente centrata sul logos e, allo stesso modo, è un’epifania dello Spirito.
Nota: nel recente libro di Jean Borella (Situation du catholicisme aujourd’hui. Entre résistance et dissolution – 2023), incontriamo questo testo:
Se possiamo attribuire la verità al Figlio e l’amore allo Spirito Santo, allora comprendiamo che l’opera propria della carità è quella di condurre alla verità, così come l’opera propria dello Spirito è quella di rivelare il Figlio: Spirito e Figlio, carità e verità, volontà e intelligenza, amore e conoscenza, nella loro unione e unità si realizza la perfezione stessa dell’essere.
Jean Borella
Note
- in questo articolo, il mio pensiero segue spesso quello di Jean Borella. Per il § 1: si veda il contributo di Borella a Bruno Bérard (dir) et al, Qu’est-ce que la métphysique?, L’Harmattan, 2010 (pp. 149-178[↩]
- Cfr. Metafisica, Libro 6, sezione 1026a.[↩]
- “De la connaissance métaphysique : la métaphysique comme épiphanie de l’Esprit”, in Bruno Bérard (dir) et al, Qu’est-ce que la métaphysique? op. cit., p. 165.[↩]
- Love and Truth è un libro in inglese di Jean Borella[↩]